Un’altra scuola, la Fahmi Al-Jarjawi a Gaza City, si aggiunge all’87% degli edifici scolastici distrutti o danneggiati dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre: ospitava centinaia di sfollati, soprattutto da Beit Lahia, e secondo le autorità della Striscia ne sono morti almeno 33, tra cui donne e bambini. Il bombardamento che ha colpito la scuola, incendiandone le classi diventate dormitori di fortuna, non è stato il solo nella notte tra il 25 e il 26 maggio. A Jabalia, nel nord della Striscia, 19 persone sono morte in un attacco israeliano contro la casa di una famiglia. Su Telegram l’esercito israeliano (Idf) ha scritto in un comunicato di aver «colpito terroristi di alto livello che operavano all’interno di un centro di comando e controllo di Hamas e della Jihad Islamica, situato in un’area che in precedenza ospitava una scuola».
Khan Younis – L’Idf ha intanto aperto un’indagine per verificare «le accuse di danni a civili non coinvolti» nel bombardamento sulla casa della pediatra Alaa al-Najjar. Nove dei dieci figli della dottoressa e del marito Hamdi, anche lui medico, sono rimasti uccisi dal raid aereo israeliano: il più grande aveva 13 anni, la più piccola sei mesi. Il missile ha risparmiato solo Adam, undicenne, che ora si trova ricoverato presso l’ospedale Nasser dove lavora la madre, e Hamdi, ancora in terapia intensiva. Alaa al-Najjar al momento dell’impatto era invece appena uscita di casa per iniziare il suo turno in corsia.
L’esercito israeliano sostiene di aver «colpito diversi sospettati, identificati come operanti in un edificio vicino alle nostre truppe». Aggiunge poi che l’area di Khan Younis è «una pericolosa zona di combattimento in cui già da giorni era stato preventivamente dato l’ordine ai civili di evacuare». Eppure l’Idf starebbe valutando «un eventuale risarcimento per danni a persone non coinvolte», memori forse del dietrofront fatto sul caso dei 15 soccorritori uccisi a Rafah il 23 marzo scorso. Dopo aver inizialmente negato, Israele aveva infatti ammesso che erano stati i suoi soldati ad aver aperto il fuoco sulle ambulanze considerandole «veicoli sospetti».
E anche se appare più cauto nelle sue dichiarazioni, l’esercito continua a colpire il personale sanitario della Striscia: sempre a Khan Younis, due operatori della Croce Rossa, Ibrahim Eid e Ahmad Abu Hilal, sono stati uccisi nella loro abitazione a Khan Younis. Così come crescono i giornalisti e i reporter uccisi che, con la morte di Hassan Majdi Abu Warda, direttore dell’agenzia di stampa Barq Gaza, salgono a 221.
L’offensiva – Nonostante le richieste di cessate il fuoco che arrivano dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, l’operazione carri di Gedeone prosegue e, come anticipato da Benjamin Netanyahu, Israele non ha intenzione di ritirarsi dalle zone conquistate con questa nuova sanguinosa offensiva di terra. A oggi l’Idf controlla circa il 40% del territorio della Striscia e stima che ne occuperà il 75% in due mesi di combattimenti. Solo 73 chilometri quadrati quindi per i due milioni di abitanti di Gaza, che secondo alcuni funzionari israeliani verranno concentrati verso il confine a sud del territorio. Il Times of Israel riporta che al momento 700mila persone sarebbero concentrate nella zona costiera di al Mawasi, circa un milione nei pressi di Gaza City e 300-350mila nel centro della Striscia.
Caos istituzionale – A opporsi all’espansione delle operazioni militari, le famiglie degli ostaggi ancora a Gaza (sarebbero 58, di cui forse 20 ancora in vita): continuano infatti le manifestazioni in tutto il Paese contro il governo, ma anche contro il nuovo capo dello Shin Bet. A sostituire Ronan Bar al vertice dei servizi segreti interni israeliani sarà David Zini, generale vicino agli ambienti dell’ultradestra nazionalista e contrario «a qualsiasi accordo per la liberazione degli ostaggi». Zini ha anche affermato che la guerra di Israele contro Hamas sarà «eterna», immediatamente smentito dal Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir. Alcuni osservatori ipotizzano che la scelta di Netanyahu sia ricaduta sul 51enne per accontentare ancora una volta i suoi alleati più estremisti al governo, senza i quali il suo esecutivo non riuscirebbe a stare in piedi.