L’allarme dato con soli 20 minuti di anticipo, medici e infermieri intervenuti per evacuare centinaia di pazienti, la fuga disordinata. Il fumo, le fiamme. I missili sui reparti di terapia intensiva e chirurgia. Nella notte tra sabato 12 e domenica 13 aprile, l’ospedale battista Al-Alhi di Gaza City è stato colpito dalle forze armate israeliane. Nella corsa per salvarsi dalle bombe, un bambino ricoverato in terapia intensiva è morto mentre lo trasportavano fuori. Al-Alhi era l’ultima struttura sanitaria funzionante nell’area, dopo la distruzione di quelle nel nord della Striscia e del complesso di Al-Shifa. Secondo l’Idf, l’esercito israeliano, l’edificio ospitava «un centro di comando e controllo utilizzato da Hamas», ma il gruppo islamista ha negato.

I resti dell’ospedale battista Al-Alhi dopo il bombardamento israeliano
Gli attacchi alle strutture sanitarie – L’ospedale era gestito dalla Chiesa Anglicana di Gerusalemme, che ha commentato: «La diocesi è sconvolta, ma il bombardamento avviene per la quinta volta dall’inizio della guerra nel 2023. E questa volta la mattina della domenica delle Palme, quando è appena cominciata la Settimana Santa». Dall’8 ottobre 2023 fino alla fine del 2024 sono stati almeno 27 gli attacchi a ospedali e 12 su altre strutture mediche. In una buona parte di questi casi, come riporta La Stampa e segnala un rapporto dello scorso anno dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani (OHCHR), Israele ha sostenuto che gli edifici fossero usati per scopi militari dai gruppi palestinesi. Nessuna prova, però, ha mai avvalorato la tesi. La certezza è che i bombardamenti contro gli ospedali, a Gaza, hanno fatto crollare «l’unico rifugio in cui i palestinesi avrebbero dovuto sentirsi al sicuro, che si è trasformato in una trappola mortale», aveva dichiarato alla fine di dicembre Volker Türk, alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Il controllo sulla Striscia – Per ordine del governo israeliano, dal 2 marzo a Gaza non entrano aiuti. Da quando, il 18 marzo, è stato rotto il cessate il fuoco, secondo le Nazioni Unite gli sfollati sono stati almeno 400mila. «I civili si trovano in un circolo di morte senza fine, Gaza è un luogo di sterminio – ha tuonato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres –. È passato più di un mese senza che un solo aiuto arrivasse. Niente cibo. Niente carburante. Niente medicine. Niente rifornimenti commerciali. Con l’esaurimento degli aiuti, si sono riaperte le porte dell’orrore». Poche ore prima che l’ospedale Al-Alhi fosse bombardato, il ministro della difesa israeliano Israel Katz aveva annunciato anche un aumento «vigoroso» delle operazioni. La mattina di sabato 12 aprile l’Idf ha preso il controllo di un nuovo corridoio tra il confine meridionale della Striscia e il nord della città di Rafah. È nato così l’asse Morag (dal nome di un ex insediamento israeliano). Il territorio tra la nuova area occupata e il corridoio Filadelfia, al confine tra l’Egitto e, appunto, la Striscia, è ora parte della zona di sicurezza israeliana. Rafah, invece, è sovraffollata e isolata: nessun palestinese può uscirne. E soprattutto, nessun palestinese vuole lasciare il Paese e la propria casa. Ma adesso Israele controlla oltre il 50% della Striscia e Katz è convinto che sia l’occasione giusta per eliminare Hamas: «La popolazione delle aree meridionali dovrà evacuare le zone di combattimento. Questo è l’ultimo momento per rimuovere Hamas, rilasciare gli ostaggi e porre fine alla guerra».
I negoziati – Nel frattempo, però, sembrerebbe che i negoziati possano riaprirsi. Un alto funzionario di Hamas ha rivelato alla tv libanese Mayadeen che Israele avrebbe chiesto il rilascio di dieci ostaggi. Stando a quanto trapelato, la proposta include un cessate il fuoco di 45 giorni – durante i quali le frontiere verrebbero aperte per la consegna di aiuti umanitari –, un riposizionamento delle truppe dell’Idf a Gaza nelle zone occupate prima del 2 marzo e l’impegno a stilare accordi per una seconda fase. I negoziati includerebbero poi una discussione su una tregua permanente, sul ritiro militare israeliano, il disarmo di Hamas e la futura governance di Gaza. E non sarebbero solo voci. Secondo il Tikva Forum, una delle associazioni israeliane di familiari degli ostaggi, il primo ministro Benyamin Netanyahu starebbe lavorando a un accordo sul rilascio di un gruppo di prigionieri di Hamas. Di fronte alla richiesta di Israele di liberarne 11 in cambio di un cessate il fuoco prolungato, la milizia si è offerta di rilasciarne solo cinque e i colloqui si sono bloccati.