Il primo ministro Benjamin Netanyahu

Sembra avvicinarsi l’offensiva israeliana contro la città di Rafah, la città nel sud della Striscia di Gaza dove più di un milione di civili palestinesi hanno trovato rifugio. Nella tarda serata del 25 febbraio, l’Idf, l’esercito  di Tel Aviv, ha presentato al gabinetto di guerra un piano di evacuazione per i civili palestinesi. Nella nota, diffusa in ebraico dall’ufficio del primo ministro, non sono state date informazioni riguardo a dove, come e quando i civili saranno trasferiti. Da Ginevra, dove è in corso il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, è arrivato subito l’ammonimento del segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres: un attacco a Rafah «metterebbe il chiodo finale sulla bara dei nostri programmi di aiuto», ricordando come la città al confine con l’Egitto sia il centro degli aiuti umanitari verso la Striscia. Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Abbiamo chiesto di aspettare per l’attacco a Rafah», ha detto, come un lavoro impostato «in maniera discreta e anche sottotraccia, con Paesi arabi e del G7 per arrivare a un’interruzione dei combattimenti a Gaza, per permettere di portare aiuti alla popolazione civile».

Le trattative – Negli scorsi giorni, da fonti saudite era trapelata la disponibilità di Hamas ad accettare una tregua di sei settimane in cambio della liberazione di 40 ostaggi israeliani rapiti durante l’attacco del 7 ottobre. Secondo il patto, Israele, oltre a sospendere l’attacco, si impegnerebbe a liberare i detenuti palestinesi condannati a pene più gravi, ma con la clausola che vengano subito deportati in Qatar. La comunità internazionale, capofila il presidente Usa Joe Biden, vorrebbe che si arrivasse alla tregua entro l’inizio del mese di Ramadan, che quest’anno incomincia il 10 marzo. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, però, è stato chiaro: un’eventuale cessate il fuoco temporaneo farebbe solo slittare l’attacco a Rafah, a breve o in primavera. La presentazione del piano di evacuazione della città sembra indicare la prima strada. «Le parole di Netanyahu dimostrano che non sta cercando un accordo», ha commentato il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri.

La situazione nella Striscia – Secondo le stime dell’Onu, a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono morte 29.782 persone (lo riporta il ministero della Salute di Hamas), una persona su quattro muore di fame, mentre nove famiglie su dieci trascorrono un giorno e una notte senza cibo. L’emergenza umanitaria, che un attacco a Rafah farebbe precipitare ancor di più, è ora complicata dallo stop dell’Unrwa agli aiuti umanitari. L’agenzia delle Nazioni unite responsabile degli affari palestinesi ha dichiarato di aver dovuto sospendere gli aiuti nel nord della Striscia a causa di «assalti» ai convogli. «Il comportamento disperato di persone affamate ed esauste sta impedendo il passaggio sicuro dei nostri camion. Non sto incolpando le persone o descrivendo queste cose come atti criminali, sto dicendo che il fatto che abbiano fermato i nostri camion non rende più possibile condurre operazioni adeguate», ha spiegato la direttrice delle relazioni esterne dell’Unrwa, Tamara Alrifai.

In Cisgiordania – Intanto, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammed Shtayeh, ha rassegnato le dimissioni: «Penso che la prossima fase richieda una organizzazione nel governo e nella politica che prenda in considerazione le nuove realtà nella Striscia di Gaza, i colloqui di unità nazionale e la necessità di un raggruppamento di un consenso inter-palestinese basato sulle fondamenta nazionali, su una vasta partecipazione, sull’unione delle fila e sull’estensione dell’autorità dell’Anp sull’intero territorio», ha detto.

In Libano – La tensione resta alta anche il Libano. L’Idf ha comunicato di aver colpito con un raid aereo la valle di Bekaa, roccaforte di Hezhbollah in Libano. In particolare, le bombe avrebbero preso di mira la periferia di Baalbek, 100 kilometri a nord-est della capitale Beirut.