Un altro stop: Israele ha di nuovo sospeso l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. La decisione è arrivata, ha riportato il 26 giugno la tv israeliana Channel 12, dopo che il ministro oltranzista Bezalel Smotrich ha minacciato di lasciare il governo di Benjamin Netanyahu se non verranno prese misure per impedire ai militanti di Hamas di mettere le mani sugli aiuti. Proprio il premier, in una dichiarazione congiunta con il ministro della Difesa Israel Katz, aveva da poco fatto sapere di aver ordinato all’esercito (Idf) di pensare entro le prossime 48 ore a un piano per impedire alla milizia islamista di accedere alle risorse alimentari distribuite a Gaza.
Intanto Hamas ha fatto sapere che i suoi negoziatori hanno intensificato gli sforzi per arrivare a un cessate il fuoco con i mediatori egiziani e qatarini. Anche se lo stallo rimane, il presidente Usa Donald Trump parla di «grandi progressi nei negoziati» e il suo inviato speciale Steve Witkoff ritiene che un accordo sia «molto vicino».
La situazione sul campo – Nonostante gli scambi di missili tra Iran e Israele, ma soprattutto il coinvolgimento Usa nelle tensioni mediorientali, abbiano distolto l’attenzione dei media e della politica dalla Striscia, a Gaza il conto delle vittime non si è mai fermato. La mattina di giovedì 26 sarebbero 31 le persone decedute nell’enclave palestinese, riporta Al Jazeera citando fonti mediche dalla Striscia. Almeno tre di queste erano proprio in attesa di ricevere aiuti umanitari: secondo l’Onu, da quando a fine maggio la distribuzione del cibo è nelle mani della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) l’esercito israeliano ha ucciso almeno 410 palestinesi mentre cercavano di procurarsi viveri. Per l’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i diritti umani, «il meccanismo militarizzato di assistenza umanitaria» dell’organizzazione sostenuta da Israele e Stati Uniti «contraddice gli standard internazionali sulla distribuzione degli aiuti», oltre a «costituire un crimine di guerra».
Non solo Gaza – A essere sotto attacco non è solo la Striscia (dove i morti superano i 55mila secondo il ministero della Salute controllato da Hamas), ma anche il territorio della Cisgiordania. Decine di coloni israeliani hanno attaccato mercoledì 25 giugno Kafr Malik, città a nord-est di Ramallah. I gruppi di settlers armati avrebbero dato fuoco a macchine e case. L’esercito israeliano è intervenuto per calmare gli scontri: secondo un comunicato delle stesse Idf, i palestinesi della West Bank hanno reagito con lancio di pietre e colpi di arma da fuoco, a cui i militari hanno risposto. Il bilancio è di tre morti palestinesi, cinque sospettati israeliani arrestati e un soldato lievemente ferito. Nel frattempo, nei pressi di Al-Yamoun, vicino Jenin, un quindicenne sarebbe stato ucciso dall’esercito israeliano durante l’ennesimo raid dei coloni alla cittadina. Si tratta di Rayan Tamer Houshiyeh, si legge in una dichiarazione del ministero della salute a Ramallah: «È stato ucciso dopo essere stato colpito al collo dai soldati». È il secondo caso in due giorni: lunedì 23 giugno, sempre a Kafr Malik, il tredicenne Ammar Hamayel è stato colpito a morte dall’esercito di Tel Aviv.