Le inchieste di Ronan Farrow portarono alla luce gli abusi commessi dal produttore Harvey Weinstein e fecero del giovane giornalista una stella del movimento #MeToo. Ma il suo giornalismo in taluni casi è «irresistibilmente cinematografico e a volte non segue gli imperativi giornalistici che esigono di confermare quanto affermato, suggerendo cospirazioni che sono invitanti, ma che non può provare». Il duro attacco al 32enne figlio di Woody Allen e Mia Farrow è stato sferrato dal New York Times in un lungo articolo firmato da Ben Smith, ex-direttore di BuzzNews e nuovo specialista di media del quotidiano newyorkese.

Il dubbio – Nel suo articolo, Smith scrive che i lavori del reporter, giornalista di punta del settimanale New Yorker, talvolta sono «troppo belli per essere veri», pur ammettendo che Farrow «non racconta favole» e ha «prodotto articoli rivelatori su alcune delle vicende che definiscono il nostro tempo», come appunto lo scandalo su Weinstein. Smith sottolinea come a «un esame attento si rivelino le debolezze di quel “giornalismo della resistenza” che sta prosperando nell’era di Donald Trump». Nel suo j’accuse contro «il più famoso reporter investigativo d’America», il giornalista del quotidiano ha preso di mira anche il libro-inchiesta del 2019 “Catch and Kill“, che descrive i retroscena delle inchieste su Weinstein. «Come Icaro spero non voli troppo vicino al sole», scrive Smith, perché, «se scavi sotto gli articoli che ha scritto per il New Yorker e per il suo bestseller cominci a vedere crepe nelle fondamenta». Per avere un punto di vista privilegiato, Smith ha chiesto al collega Ken Auletta, che introdusse Farrow nella redazione del New Yorker, se gli scoop contengano manipolazioni o meno: «Ci sono tutti i puntini sulle “i” e i trattini delle T? No», ha risposto Auletta, che però ha anche sottolineato che comunque «Farrow ha aiutato a rivelare al mondo il comportamento predatorio di Weinstein e ne ha provocato la caduta. Alla fine – ha aggiunto Auletta con una frase idiomatica – ha consegnato il suo pacco».

Le reazioni – L’articolo ha suscitato polemiche sia negli ambienti politically correct e femministi americani, in cui Farrow è visto come un eroe, che alla Casa Bianca, dove l’entourage del presidente Donald Trump ha commentato la vicenda come esempio di un giornalismo basato sulle «fake news». Lo stesso giornalista 32enne si è difeso sul suo canale Twitter, sostenendo il valore giornalistico dei suoi articoli. Gli scandali e i procedimenti penali partiti dalle inchieste di Farrow hanno avuto un forte impatto sulla società americana, non nuova comunque a episodi di cattivo giornalismo, come nel famoso caso di Stephen Glass, cui è stato dedicato addirittura un film nel 2003, “L’Inventore di favole”. La pellicola racconta l’ascesa e il declino del cronista di Chicago, entrato nel pantheon della stampa americana a soli 23 anni pubblicando sul The New Republic fino al 1997, anno in cui il reporter fu licenziato dal giornale per aver inventato di sana pianta articoli su personalità e ambienti repubblicani. Da Washington, tuttavia, circolano voci che escludono una vicenda “alla Glass”: giorni fa lo stesso Smith, infatti, aveva rivelato che Farrow stava lavorando al caso delle molestie sessuali di Tara Reade all’ex vice-presidente e candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden e di come il cronista e la donna fossero «in attiva comunicazione».