Sacrificata, perduta, frustrata. E pronta per un nuovo ’68. È questo il ritratto che il canale televisivo France 2 ha fatto dei giovani di Francia. E dal quel sondaggio condotto nell’autunno 2013 (210mila intervistati, per un totale di 21 milioni di risposte) ora il quotidiano Le Monde estrapola i dati relativi alla fascia 18-25 anni: il periodo più critico, quello a cavallo tra le scuole superiori, l’università e la ricerca di un lavoro. Che spesso non si trova. È un quadro piuttosto desolante, di cui i giovani francesi sono consapevoli. E che li porta a rifugiarsi nella famiglia o nella speranza di una vita migliore all’estero. Ma anche nell’idea di un nuovo maggio francese.
Il dato che subito salta all’occhio è il 51% di coloro che non considerano più i 20 anni il momento migliore della vita di una persona. Segnale di una gioventù bruciata, disillusa. E solo un quarto è convinta che se la passerà meglio rispetto ai propri gentori. Gli altri no, sono convinti che sarà peggio. Peggio per la propria generazione e ancor peggio per quella dei figli che avranno. «Non conosceremo altro che la crisi» risponde malinconico il 33%. E tra maschi e femmine, le più pessimiste sono le ragazze. «Queste percentuali sono molto alte, tenendo conto che di solito nei sondaggi i giovani sono più ottimisti degli adulti», commenta Camille Peugny, sociologa dell’università di Paris-VIII. «Quello che emerge è dato dal peso dei discorsi sulla crisi e dalla sensazione di essere catturati in una spirale di peggioramento».
La prima reazione, in un contesto del genere, è la voglia di andarsene: alla domanda «ti tenta l’idea di trasferirti all’estero?», la risposta di tre quarti degli intervistati è «ovviamente sì». La famiglia comunque rimane il nido sicuro dove rifugiarsi. Di più: la maggior parte dei genitori non solo sostiene le scelte dei figli, ma ne comprende e condivide le preoccupazioni: «I genitori capiscono che la situazione dei giovani è estremamente difficile – spiega Peugny – Anche i loro anni Quaranta e Cinquanta sono stati anni di crisi. Entrambe le generazioni sono unite nella crisi, moralmente e materialmente».
Preoccupazione però non significa per forza rassegnazione. Il 61% dei giovani risponde positivamente alla domanda «parteciperesti a un movimento di rivolta come quello del maggio del ’68, che potrebbe avvenire domani o nei prossimi mesi?». E la percentuale aumenta quando si interpellano i lavoratori con contratto a termine. Ma la cifra non cambia di molto se si guarda a quelli a tempo indeterminato: il 54% vuole un cambiamento radicale della società, com’era negli intenti del maggio di quasi mezzo secolo fa.
Giorgia Wizemann