Una bandiera palestinese appesa a un traliccio sventola su Al Rashid road. Lungo la strada costiera ci sono migliaia di persone in cammino. Sulla sinistra hanno l’azzurro del mar Mediterraneo, sulla destra il grigio delle macerie. Sono gli sfollati interni palestinesi che tornano dal sud in direzione della zona settentrionale della Striscia di Gaza. È la prima volta dopo 15 mesi di guerra che Israele consente il rientro verso il nord della Striscia.

Palestina –  L’inizio dello spostamento degli sfollati è stato confermato dal ministero degli Interni della Striscia: «Il passaggio è iniziato lungo la strada Al-Rashid attraverso la parte occidentale del checkpoint di Netzarim verso Gaza City e la parte settentrionale della Striscia di Gaza». Le prime persone hanno attraversato il corridoio Netzarim alle 7.00 del mattino locali, le 6.00 in Italia. La situazione si è sbloccata dopo il raggiungimento di una nuova intesa tra Israele e Hamas. Due i punti critici: il mancato rilascio della cittadina tedesco-israeliana Arbel Yehud – il suo era tra i nomi dei primi ostaggi che dovevano essere liberati – e la mancata consegna da parte di Hamas della lista dei restanti 26 ostaggi da liberare. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva quindi deciso di bloccare i gazawi. Il gruppo paramilitare palestinese ha poi assicurato che libererà Yehud e altri due ostaggi prima di venerdì. Il giorno successivo, sabato, saranno rilasciati altri tre ostaggi e verrà fornito l’elenco richiesto. In cambio Israele, oltre ad aver consentito il passaggio verso il Nord della Striscia, scarcererà 30 prigionieri palestinesi. Hamas ha affermato che il ritorno degli sfollati «è una vittoria per il nostro popolo e segnala il fallimento e la sconfitta dei piani di occupazione», mentre la Jihad islamica l’ha definito «una risposta a tutti coloro che sognano di sfollare il nostro popolo». Una dura critica è invece arrivata dal leader israeliano di ultradestra Itamar Ben Gvir che su X ha scritto: «Non è questa la vittoria totale, è questa la resa totale. Dobbiamo tornare a combattere e distruggere». Ben Gvir si era dimesso dal governo il 19 gennaio 2025 in opposizione all’accordo sugli ostaggi.

Stati Uniti – «Via i Palestinesi da Gaza». Sull’Air Force One di ritorno da un comizio in Nevada, il Presidente americano Donald Trump ha lanciato l’idea di trasferire parte degli abitanti verso Egitto e Giordania, definendo Gaza «un cantiere di demolizione». La proposta del presidente prevede l’esodo provvisorio, da 6 mesi a un anno, di un milione e mezzo di sfollati per consentire la ricostruzione delle città. La soluzione è stata contestata da più parti, in primis dalla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp): «Sottolineiamo che il popolo palestinese non abbandonerà mai la propria terra, non lascerà la propria patria». L’Anp ha inoltre espresso gratitudine verso Egitto e Giordania che hanno respinto la proposta di Trump. Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che il suo regno è contrario a qualsiasi sfollamento forzato dei palestinesi: «Il nostro rifiuto è fermo e non cambierà. La Giordania è per i giordani e la Palestina è per i palestinesi». Tra i sostenitori dell’idea del leader repubblicano c’è invece il ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich: «Dopo 76 anni durante i quali la maggior parte della popolazione di Gaza è stata tenuta forzatamente in condizioni difficili per preservare l’aspirazione di distruggere lo Stato di Israele, l’idea di aiutarli a trovare altri posti in cui iniziare una vita nuova e migliore è un’idea eccellente».
Mercoledì 29 gennaio è atteso a Tel Aviv Steve Witkoff, responsabile americano per il Medio Oriente. Il quotidiano israeliano Ynet riferisce che Witkoff incontrerà il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro per gli affari strategici Ron Dermer per discutere dell’accordo sullo scambio di prigionieri, della normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita e del cessate il fuoco con il Libano.

Libano – La situazione infatti è critica anche in Libano, in particolare nella parte meridionale occupata da Israele. Washington e Beirut hanno affermato che l’accordo di cessate il fuoco con Tel Aviv è stato prorogato fino al 18 febbraio. Il termine era previsto per domenica 26 gennaio, ma Israele ha mantenuto le truppe dispiegate in Libano accusando il governo di non aver attuato completamente la propria parte dell’accordo, che richiedeva il ritiro dell’organizzazione paramilitare Hezbollah dalla zona. Domenica il ministero della Salute libanese ha inoltre dichiarato che i soldati israeliani hanno ucciso 24 persone e ne hanno ferite altre 124 mentre cercavano di tornare alle loro abitazioni nel sud del Paese. Israele ha giustificato l’attacco spiegando che tra i civili c’erano esponenti di Hezbollah. Secondo quanto riporta l’agenzia governativa libanese Nna l’esercito israeliano ha colpito cittadini libanesi nel sud del Paese anche questa mattina, lunedì 27 gennaio. Nonostante ciò Il primo ministro libanese Najib Mikati ha confermato che il Libano rispetterà l’estensione della tregua: «Il governo libanese riafferma il suo impegno a continuare ad attuare l’accordo di cessate il fuoco fino al 18 febbraio 2025».