Nella serata di mercoledì 10 dicembre gli Stati Uniti hanno sequestrato una petroliera giramondo al largo delle coste venezuelane. Gli Usa ne avevano seguito le tracce dal 2019, scoprendo che negli ultimi mesi aveva fatto parte di un triangolo i cui vertici erano la Cina, Cuba e appunto il Venezuela. L’operazione è stata condivisa sui social dalla procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, mentre il presidente Donald Trump ne ha spiegato l’importanza perché la nave sarebbe stata sequestrata «per un’ottima ragione» e ha aggiunto che «stanno succedendo altre cose» tra Venezuela e Stati Uniti, senza specificare ulteriormente.

Il petrolio iraniano – La petroliera risponde attualmente al nome di “Skipper”, anche se in precedenza era conosciuta con il nome di Adisa, ed è soggetta a sanzioni da parte degli Stati Uniti dal 2022 perché ritenuta coinvolta nel traffico di petrolio iraniano. Fonti anonime hanno rivelato al New York Times che al momento del sequestro la nave stava trasportando petrolio della compagnia di stato venezuelana, Petróleos de Venezuela; che stava usando la bandiera di un altro paese sudamericano, dove però non era registrata; e che la sua destinazione finale era in Asia. Secondo i dati di compagnie specializzate nel monitoraggio delle navi, nel 2025 la Skipper aveva compiuto due viaggi trasportando petrolio iraniano verso la Cina, e a dicembre aveva imbarcato quello venezuelano. Secondo una fonte citata da La Voce di New York inoltre, l’imbarcazione era diretta in quel momento verso Cuba, dove la società società statale Cubametales stava pianificando di venderla a broker energetici asiatici.

Gli Stati Uniti hanno sequestrato una petroliera al largo delle coste venezuelane

Fonte: ANSA

Un asset fondamentale – L’attacco alla petroliera “Skipper” riguarda uno degli asset economici fondamentali del Venezuela: il petrolio è il prodotto che tiene in piedi l’economia del paese in un momento di crisi enorme. È infatti dal 2019 che gli Stati Uniti sanzionano le esportazioni della Petróleos le cui più importanti esportazioni sono ormai dirette verso la Cina. Dopo le dichiarazioni di Bondi – «Per diversi anni, la petroliera è stata sanzionata dagli Stati Uniti a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio che supporta organizzazioni terroristiche straniere» – il governo del Venezuela ha risposto accusando gli Stati Uniti di aver commesso un «atto di pirateria».

La crisi in Venezuela – Il sequestro rientra nel novero delle operazioni militari ed economiche che l’amministrazione Donald Trump sta portando avanti da novembre nei confronti del governo di Maduro. Tra gli interventi Usa il dispiegamento di forze militari al largo delle coste del Mar dei Caraibi e gli attacchi alle imbarcazioni dei presunti narcotrafficanti che hanno causato almeno 80 morti nelle ultime settimane. Gli Stati Uniti sostengono che Maduro sia a capo di un’organizzazione di narcotrafficanti chiamata Cártel de los Soles, sulla cui esistenza ci sono molti dubbi. Una crisi, quella con il Venezuela, che prosegue mentre la leader dell’opposizione venezuelana, María Corina Machado, si trovava a Oslo, in Norvegia, per ritirare il premio Nobel per la Pace che le era stato conferito a ottobre. Nella notte tra mercoledì e giovedì Machado ha fatto la sua prima apparizione pubblica dallo scorso 9 gennaio, quando aveva partecipato a una manifestazione contro Maduro a Caracas, la capitale del Venezuela.

Il giardino di casa – Come se la situazione in Venezuela non bastasse, durante un’intervista rilasciata recentemente a Politico Donald Trump ha attaccato Gustavo Petro, presidente colombiano, primo leader di sinistra della Colombia moderna. Tra i due nelle ultime settimane ci sono state minacce e accuse non troppo velate: Trump lo ha accusato di non fare abbastanza nella lotta contro la droga e definendo l’avversario un «teppista»; mentre Petro ha risposto difendendo il proprio operato e sottolineando come dal suo insediamento siano stati smantellati ben 18.400 laboratori in cui la coca viene trasformata in cocaina. Un contrasto accentuato dalle accuse che il colombiano ha rivolto a Donald Trump per la presunta campagna militare contro i narcotrafficanti nel Pacifico orientale, a cui Trump ha risposto piccato: «Se non si sveglia, avrà grossi problemi. La Colombia produce molta droga. Hanno fabbriche di cocaina. Producono cocaina, come sapete, e la vendono direttamente negli Stati Uniti. Quindi è meglio che si faccia furbo, altrimenti sarà il prossimo. Sarà il prossimo. Spero che stia ascoltando. Sarà il prossimo perché non ci piace che la gente uccida altre persone». Minacce che alimentano ulteriormente i problemi in quello che tradizionalmente è sempre stato il “giardino di casa” statunitense, ovvero quel Sud America che oggi Trump vorrebbe riportare sotto la propria gestione.