Era stato descritto come un consiglio di guerra, si è trasformato in un vertice sulla difesa comune europea che ha prodotto molte dichiarazioni e poche decisioni. Nei due giorni di riunione dei capi di stato e dio governo del >veccchio ciontiunente, tenuto a Bruxelles il 21 e 22 marzo 2024, non solo è stata allontanata l’ipotesi di un‘Europa in guerra a fianco di Kiev, ma non sono stati neppure sciolti i nodi sul reperimento dei fondi necessari a rafforzare la difesa e la sicurezza del Vecchio Continente.

Toni bassi – La prima a smorzare i toni accesi dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel suo editoriale dal titolo Se vuoi la pace prepara la guerra, è stata la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni. Michel aveva sottolineato la necessità di passare ad una modalità di «economia di guerra» in Europa. «Le conclusioni del Vertice sono state male interpretate. Non volevano significare “prepariamo i nostri cittadini perché siamo in guerra”» ha detto Meloni al termine del summit, chiarendo: «Volevano dire che in caso di crisi dobbiamo essere più preparati nel coordinamento». Una corsa alle armi frenata anche dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell: «Non bisogna impaurire la gente inutilmente, la guerra non è imminente». Poi ha aggiunto: “Sosteniamo l’Ucraina e non siamo parte di questo conflitto. Quello che è imminente è la necessità degli ucraini di essere sostenuti, non è questione di andare a morire per il Donbass. Il problema è sostenerli perché loro non debbano morire nel Donbass”.
L’ipotesi di un’Europa in guerra è lontana soprattutto considerando che sarebbe necessario il consenso e il coordinamento di tutti i leader dei 27 Stati, spiega Simone Cantarini, giornalista per EURACTIV. «L’istituzione europea non ha questo tipo di compito. Un’operazione militare si può pensare solo in ambito Nato. Se, ad esempio, un missile russo dovesse sconfinare in Polonia e dovesse essere percepito come un attacco, si attiverebbe immediatamente l’articolo quinto. In ambito europeo l’ipotesi è davvero remota».

Il nodo dei fondi- Il tema su cui tutti i leader sono d’accordo è rafforzare la difesa europea. Sul come iniziano le divergenze. Riguardo alla proposta di emettere bond, ossia obbligazioni per finanziare progetti comuni di investimenti nel settore, resta l’opposizione dei Paesi frugali. «Gli Eurobond vanno a forzare proprio la filosofia di alcuni paesi, come in particolare la Germania. Quello che spaventa riguardo l’emissione di ulteriore debito è che questo, se non ben coordinato, può andare a drenare risorse da progetti già avviati come quelli del green deal, o quelli del nostro PNRR», spiega Cantarini. La Germania, invece, si è detta a favore dell’uso degli asset russi congelati per aiuti militari all’Ucraina. Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, «usare i profitti straordinari» derivanti dal congelamento degli asset della Banca centrale russa, circa 3 miliardi di euro l’anno, per armi e munizioni da inviare all’Ucraina sarebbe «un grande passo avanti». L’opposizione, in questo caso, secondo Cantarini, sarebbe rappresentata dalle banche. «Hanno già manifestato la loro contrarietà. Le banche che detengono parte di questi asset, circa 160 miliardi di dollari, hanno paura che finita la guerra ci possano essere enormi problemi di arbitrato. La volontà politica cozza con il rischio paventato dalle banche centrali e dagli istituti di ritorsioni da parte della Russia una volta finita la guerra».