Prima un muro, poi dei territori “cuscinetto”. Continua il piano di contenimento messo in atto dall’Egitto per far fronte a un eventuale, ma sempre più probabile, sfollamento dei palestinesi oltre il valico di Rafah. Intanto, l’esercito israeliano ha ribadito che, in caso di un mancato accordo sugli ostaggi, attaccherà il sud della Striscia con l’inizio del Ramadan, a marzo.

La posizione dell’Egitto – Venerdì 16 febbraio un video ripreso da Al-Jazeera ha mostrato i lavori di costruzione di un muro nel deserto del Sinai, 8 miglia quadrate vicino al confine tra Gaza ed Egitto: secondo il media arabo ci sarebbe dietro un’intenzione di bloccare i palestinesi ormai ammassati al valico di Rafah. Lunedì 19 febbraio la Sinai Foundation for Human Rights, un’organizzazione di attivisti, ha pubblicato immagini che mostravano camion e gru al lavoro nell’area e foto di barriere di cemento lungo il confine. Il 22 febbraio Reuters ha pubblicato alcune immagini satellitari che dimostrerebbero che zone del Sinai sarebbero state preparate come territori “cuscinetto” per contenere un possibile esodo degli stessi palestinesi. Il governo di Abdel Fattah Al-Sisi sta però continuando a negare tutte queste ipotesi.
In una nota, il capo del Servizio informativo statale, Diaa Rahswan ha dichiarato che «la posizione dell’Egitto dall’inizio dell’aggressione è quella di respingere completamente qualsiasi spostamento forzato o volontario di fratelli palestinesi dalla Striscia di Gaza verso l’esterno di essa, in particolare verso il territorio egiziano». Classificando qualsiasi tipo di sfollamento come «un crimine sostenuto da alcuni partiti israeliani», Rahswan ha affermato che l’Egitto adotterà tutte le misure necessarie per fermarlo.

Sul campo – Si contano dieci attacchi aerei nella notte tra mercoledì 21 e giovedì 22 febbraio, nell’area considerata l’ultimo bastione di Hamas, il sud della Striscia, dove sono allo stremo più di 2 milioni di civili. Secondo l’Onu, sono ammassati al confine con l’Egitto, per ora chiuso, e sono minacciati da carestia e condizioni igieniche estreme. I più fortunati vivono in case danneggiate dai bombardamenti, senza acqua né elettricità, mentre per gli altri restano le tendopoli, dove vive stipato più di un milione di persone. Un quadro che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a definire il territorio una “zona della morte”.
Per i civili palestinesi fuggire nel Paese limitrofo ha un costo elevatissimo. Una delle poche possibilità rimaste è quella di rivolgersi all’agenzia turistica egiziana Hala Consulting and Tourism Service, pagando dai 3mila ai 5mila euro, a seconda dell’età del soggetto.

La diplomazia – Intanto, sul fronte diplomatico, è stato proprio Il Cairo a ospitare i colloqui che hanno coinvolto Stati Uniti, Israele e Qatar su una possibile tregua a Gaza, che, per ora, non hanno portato frutti. Venerdì 23 febbraio è previsto un incontro a Parigi tra il capo della CIA William Joseph Burns con funzionari del Qatar, egiziani e israeliani per discutere degli ostaggi. L’obiettivo degli Usa è quello di riuscire a trovare un accordo prima dell’inizio del Ramadan.