Un terremoto, l’ennesimo. Stavolta però ad Haiti non è la terra a tremare. A sei mesi di distanza dall’omicidio del presidente della Repubblica Jovenel Moïse, crivellato a colpi di fucile nella sua casa di Port-au-Prince il 7 luglio 2021, emergono nuovi particolari che sembrerebbero smentire la narrazione secondo cui l’agguato fu opera soltanto di un gruppo di mercenari stranieri al soldo dei boss delle gang del narcotraffico locale. I mandanti dell’esecuzione di Moïse sarebbero da ricercarsi molto più in alto, almeno stando alle nuove indiscrezioni pubblicate in una lunga inchiesta del New York Times. In poche parole dietro l’omicidio del presidente ci sarebbe l’ombra del premier. La notte in cui il commando (formato da 26 ex soldati e ufficiali dell’esercito colombiano, assoldati per 2.700 dollari come contractor) uccise Moïse, il funzionario del ministero della Giustizia e presunta mente del complotto Felix Badio (su cui pende un mandato di cattura internazionale per omicidio) telefonò due volte ad Ariel Henry, 72 anni, l’attuale primo ministro, all’epoca non ancora in carica.
Un golpe annunciato – Due telefonate, la prima alle 4:03 del 7 luglio 2021, la seconda alle 4:20. I tabulati della Digicell, il gestore di telefonia mobile di Haiti, intercetta due chiamate partite dal cellulare di Badio. All’altro capo del filo c’è Henry, il premier: le due telefonate precedono e seguono, di pochi minuti, l’assassinio del presidente. Ma quella che conta è la prima chiamata, che è partita quando l’ex funzionario del ministero era a guardia della villa del capo dello Stato, nel quartiere elegante di Pétionville, sulle colline della capitale. Parte del commando era già entrato nella camera da letto di Moïse, con la connivenza dei 14 addetti alla guardia presidenziale, spariti senza sparare un colpo di fronte a quello che l’ambasciatore statunitense Daniel Foote definì «un gruppo di professionisti, dotato di fucili di precisione troppo sofisticati per qualunque criminale comune haitiano». Stando al racconto del supertestimone Rodolphe Jaar (ex narcotrafficante e collaboratore della Dea), i sicari, travestiti da agenti della narcotici americana, avrebbero soltanto dovuto arrestare il capo dello Stato. Ma a un certo punto sarebbe arrivato l’ordine via radio di uccidere il presidente, dopo che Badio aveva parlato al telefono con qualcuno. Chi, non si sa: aveva chiesto di saperlo anche il giudice Bed-Ford Claude, che, tabulati alla mano, chiese l’incriminazione del premier Henry per concorso in omicidio, prima di essere licenziato in tronco dallo stesso capo dell’Esecutivo, che bollò l’iniziativa del magistrato come «un errore amministrativo molto grave».
Un movente? – Un mese prima di essere assassinato lo stesso Jovenel Moïse aveva denunciato un piano per ucciderlo, accusando un giudice e un alto ufficiale della polizia, entrambi poi arrestati. La sua morte lasciò un vuoto politico pericoloso, colmato infine proprio dall’ex ministro degli Esteri Henry. Moïse, il cui mandato alla guida delle istituzioni sarebbe dovuto terminare il 7 febbraio 2021, aveva a più riprese annunciato che avrebbe abbandonato lo scranno esattamente un anno più tardi, scatenando malumori non solo nella popolazione, ma anche nell’establishment di governo. Stando al racconto di più di 70 testimoni, inoltre, emergerebbe un ulteriore elemento a tingere di giallo la morte del presidente: Moïse, infatti, avrebbe fatto stilare una lista con i nomi dei trafficanti di armi e droga, uomini potenti e insospettabili legati all’élite dell’isola, molti dei quali seduti in Parlamento o nei posti chiave dell’amministrazione. Il capo dello Stato si apprestava a consegnarla alle autorità Usa, in cambio di nuovi sostegni economici e partenariato commerciale. L’amministrazione Biden sarebbe subito stata messa al corrente dell’esistenza del rapporto: un intervento della Dea avrebbe scompaginato gli equilibri di potere e di affari delle diverse lobby che hanno peso sulla vita politica di Haiti. Moïse, insomma, sarebbe diventato un pericolo: secondo il racconto della moglie del presidente (sopravvissuta all’agguato), la “sentenza di morte” sarebbe stata comunicata al commando dopo che il capo dei killer aveva riferito via radio di avere “trovato quello che stavano cercando”. Gli investigatori internazionali e i funzionari della Dea ritengono che potesse trattarsi proprio della famosa lista. «I mandanti sono quelli che gli stavano vicino, lo sanno tutti», disse l’ex first lady durante i funerali del marito.
Un Paese allo sbando – L’ex isola degli schiavi, da sempre sconvolta dalla violenza e colpita da terremoti e catastrofi sanitarie, è in preda al caos. Dopo la morte di Moïse le elezioni sono state rinviate tre volte, e senza un Parlamento operativo è impossibile scegliere un nuovo presidente. L’assetto istituzionale resta sospeso in un limbo di incertezza, mentre il 90 per cento della popolazione continua a vivere con meno di due dollari al giorno, ostaggio della gang che tengono in scacco la capitale. Una storia tormentata, quella di Haiti, primo Paese dell’America Latina a ottenere l’indipendenza, per quasi trent’anni tiranneggiato dalla dinastia Duvalier (François, detto “papa doc” e suo figlio Jean-Claude, “baby doc”). Proprio l’11 gennaio è stato commemorato il dodicesimo anniversario del terremoto del 2010, che provocò più di 230mila morti e una catastrofe umanitaria che ha messo in ginocchio l’isola.