Due promesse alla settimana, 542 in cinque anni. Ma solo un terzo pienamente mantenute. Così François Hollande è diventato il presidente più impopolare di sempre, il primo a non correre per un secondo mandato. Per arginare il dissenso crescente l’inquilino dell’Eliseo ha costruito una diga di impegni dettagliati. Forse troppo. Come la supertassa sui ricchi, sbandierata in campagna elettorale e cancellata dopo soli due anni. E in politica le promesse precise hanno le gambe più corte delle bugie.

La popolarità di Hollande nei suoi cinque anni di presidenza (fonte Francetvinfo)

L’uomo normale – Nel 2011, quando avanza la sua candidatura alle primarie socialiste, pochi considerano Hollande all’altezza dell’Eliseo. I più lo ritengono un funzionario di carriera privo del carisma di un leader. L’astro nascente del riformismo francese è il rivale Dominique Strauss Kahn, economista e politico di successo. In effetti, nel partito socialista Hollande è da sempre un second couteau, un secondo coltello: consulente economico di Mitterrand, portavoce di Jospin, compagno di Ségolène Royal, quando nel 2007 questa è stata candidata (perdente) alle presidenziali. Eppure, anche i suoi detrattori sono disposti a riconoscergli abilità oratoria e presenza di spirito. Nonché una rara capacità di resistere alle pressioni immortalata nel soprannome di Flanby, il budino che, tirato di qua e di là, ritorna sempre alla forma iniziale. Del resto, nonostante ami descriversi come un uomo del terroir, Hollande è diplomato all’Ècole nationale d’administration, la scuola dove si sono formati alti funzionari, ministri e ben tre inquilini dell’Eliseo (quattro se Emmanuel Macron vincerà le prossime elezioni).

Ségolène Royal e François Hollande in un’immagine del 1988

Promesse da candidato – L’occasione per Hollande si presenta quando ormai tutti lo danno perdente. La candidatura di Strauss Kahn viene affossata da uno scandalo sessuale: l’allora direttore del Fondo Monetario Internazionale viene arrestato a New York per una presunta violenza ai danni di una cameriera. Flanby, come di consueto, non si scompone. «Vedo la difficoltà del compito che mi spetta: i francesi devono credere al sogno di uguaglianza e progresso», dice nel primo discorso dopo la larga vittoria nelle primarie. Per realizzare il sogno Hollande presenta un programma in 60 punti. Tassa al 75% sui milionari, lotta alla disoccupazione, separazione nelle banche delle attività di credito dalla speculazione, bando ai paradisi fiscali, fine dell’austerità in Europa. Ma a marcare la discontinuità rispetto allo sfidante Nicolas Sarkozy non è solo lo spirito socialista del piano di riforme. La differenza è palpabile anche nello stile: ai francesi Hollande si presenta umile e sobrio, lontano dall’arroganza e dagli eccessi del predecessore all’Eliseo. «Ho la testa di un presidente?», si domanda il candidato socialista un anno prima delle elezioni. Il 52% dei francesi, il 6 maggio 2012, risponde che sì, quella di Monsieur normal è la testa adatta a guidare la République fuori dalla crisi.

Delusioni da presidente – Ma dal 2012 il sito Luiprésident, creato da tre giornalisti francesi, segue l’attuazione del programma presidenziale. Per gli autori del blog, Hollande si è avvitato in «un sistema malato di promesse», finendo spesso per deludere le speranze alimentate. La super tassa sulla ricchezza, affossata dai ricorsi giudiziari, è stata eliminata dopo due anni. La legge sulla separazione delle attività bancarie è rimasta lettera morta. Così come la lotta ai paradisi fiscali azzoppata dall’affaire Cahuzac, il ministro del Bilancio travolto da un’inchiesta giornalistica, e poi giudiziaria, per un conto in Svizzera mai dichiarato al fisco. E la disoccupazione ha registrato un lieve, ma costante aumento, arrivando a superare il 10%.  La riforma El Khomri, pensata per dare dinamismo al mercato del lavoro, ha allontanato ancora di più il presidente dalla base socialista. Licenziamenti più facili e abbassamento delle retribuzioni non sono gli ingredienti per una riforma gradita a sindacati e lavoratori che hanno manifestato contro il jobs act à la française. E contro il suo ispiratore, François Hollande. Talvolta, paradossalmente, anche dare seguito agli impegni elettorali non ha giovato alla sua popolarità. È il caso dell’approvazione del mariage pour tous, il matrimonio omosessuale, che ha fornito alla Francia cattolica e conservatrice l’occasione per serrare i ranghi contro l’Eliseo. E così, in cinque anni, Hollande è riuscito a scontentare tutti: polarizzando gli oppositori con le sue aperture sui diritti civili e deludendo i sostenitori con il poco coraggio nelle riforme.

Una burrascosa vita privata – François Hollande è ateo e non è mai stato sposato. Ha avuto quattro figli, con Ségolène Royal, compagna di una vita e collega di partito. Sono stati insieme trent’anni, dalla fine degli anni Settanta al 2007, quando è stata ufficializzata la loro separazione. Nel novembre dello stesso anno, Valérie Trierweiler, cronista del quotidiano Paris Match, conferma le voci di una relazione con il leader socialista. Nel 2012, quando Hollande fa il suo ingresso all’Eliseo, Trierweiler diventa la Première Dame e smette di scrivere di politica. Il 9 gennaio 2014, il settimanale Closer rivela però la relazione tra il Presidente e l’attrice Julie Gayet. Valérie Trierweiler si sente male. La ricoverano in ospedale per un malore. La loro relazione finisce poche settimane dopo.

Da sinistra, Valérie Trierweiler, François Hollande e Julie Gayet

Le mal aimé – Al presidente uscente l’emittente pubblica France 3 ha dedicato un documentario. Titolo “Le mal aimé”, l’incompreso, come una ballata di Claude François. L’impressione è che davvero, nei cinque anni di Eliseo, il più grande fallimento di Hollande sia stato la comunicazione con l’elettorato socialista, e con la Francia. Si prenda ad esempio la cerimonia dei 70 anni dalla liberazione dall’occupazione nazista. Il 25 agosto 2014 non è un giorno tranquillo per Hollande: il governo del premier socialista Manuel Valls è in piena crisi. Il presidente aspetta di tenere il discorso di commemorazione sotto il diluvio, senza ombrello. Quando sale sul palco è fradicio e si confonde più volte: parla di «naufragio del partito» al posto che della patria. Contro di lui si scatena lo sdegno di stampa, politica e social network: l’immagine del presidente bagnato non fa onore alla République. Hollande si giustifica con i giornalisti qualche giorno dopo: «C’erano dei reduci, dei deputati sotto la pioggia, fradici, che sapevano che questa cerimonia è sacra. E pensate che io, il presidente, avrei potuto ripararmi sotto un ombrello?». Parole scelte con attenzione, ma ormai è troppo tardi: il temporale che si abbatte su Hollande è la perfetta metafora della sua presidenza. Eppure, anche a François Hollande si offre un’arca per sfuggire al diluvio di impopolarità: la politica estera e di sicurezza nazionale.

La politica estera – Nel 2012 la priorità, in politica estera, appariva l’Unione Europea e la gestione dei problemi dell’eurozona. Ma poco dopo il suo ingresso all’Eliseo, l’Africa e il Mediterraneo riacquisirono enorme centralità nella sua agenda. Il primo intervento militare fu in Mali, nel gennaio 2013, in occasione dell’Operazione Serval. Undici mesi dopo, nella Repubblica Centrafricana, fece avviare l’Operazione Sangaris, che autorizzò il ricorso alla forza per ripristinare la sicurezza nel Paese. Il suo obiettivo? Restituire a Parigi prestigio internazionale attraverso l’interventismo umanitario.

Terrorismo – La Francia di François Hollande è stato il Paese europeo più colpito dal terrorismo di matrice islamica. Il primo bersaglio fu il giornale satirico Charlie Hebdo. Il 7 gennaio 2015 Saïd e Chérif Kouachi, due cittadini francesi di 34 e 32 anni, entrarono armati di kalashnikov negli uffici del giornale. Aprirono il fuoco sui dipendenti e ne ammazzarono dodici. Riuscirono a scappare a bordo di un’auto e si barricarono in un capannone. Le forze dell’ordine li uccisero 48 ore dopo. Lo stesso giorno, la polizia ferì a morte anche Amedy Coulibaly che, in un attacco separato, aveva preso alcuni ostaggi in un supermercato kosher, nella zona est di Parigi. Qui morirono cinque persone. I fratelli Kouachi agirono per conto di Al Qaeda, che rivendicò l’attentato, mentre Coulibaly si ispirò allo Stato Islamico. L’11 gennaio un corteo di oltre due milioni di persone riempì le vie della capitale. Presenti tutti i capi di stato: da Angela Merkel a Benjamin Netanyahu e Abu Mazen. Il 14 luglio 2016, a Nizza, un camion lanciato a tutta velocità investì decine di persone. Ne morirono 84. Ma gli attentati più gravi della storia di Francia furono quelli del 13 novembre 2015, portati a compimento da un commando di dieci persone. Avvennero in tre luoghi diversi della capitale: per le vie del centro, al teatro Bataclan e allo Stade de France, dove in programma c’era l’amichevole Francia-Germania e dove era presente anche Hollande. Negli attentati di quella notte morirono 130 persone e ne rimasero ferite più di trecento. La strage fu rivendicata da Daesh e i responsabili furono identificati in Abdelhamid Abaaoud e Salah Abdeslam.

La manifestazione dei capi di Stato dopo l’attentato a Charlie Hebdo

Le reazioni dopo il Bataclan – I fatti di Parigi innescarono immediatamente le risposte del governo: il 15 novembre, l’Aviazione francese condusse un raid con 10 caccia contro le postazioni ritenute dello Stato Islamico attorno a Raqqa, capitale siriana di Daesh; il 18 novembre le forze dell’ordine francese assaltarono, nella banlieue parigina di Saint-Denis, alcuni appartamenti occupati da presunti terroristi in procinto di organizzare nuovi attacchi.

La popolarità dopo gli attentati– Subito dopo gli attentati, la popolarità di François Hollande aumentò. Dopo il 13 novembre 2015, il suo consenso toccò il 50%. Un sondaggio condotto da Ifop e pubblicato da Paris Match indicò un notevole balzo in avanti del capo di Stato francese: 22 punti percentuali che rappresentarono per lui il più alto grado di fiducia mai raggiunto nei sondaggi dall’estate 2012, a pochi mesi dalla sua elezione. Nicolas Sarkozy non riuscì mai a sfiorare quel livello. Ma la gestione della crisi da parte dell’Eliseo fu oggetto di dibattito, soprattutto dopo la decisione del Presidente di proclamare uno stato d’emergenza prolungato. Fece discutere l’annuncio fatto dalla Francia al Consiglio d’Europa sui diritti umani: molte associazioni umanitarie denunciarono una possibile deriva autoritaria.

La rinuncia all’Eliseo – Ma l’annuncio della rinuncia a un secondo mandato arriva in diretta televisiva, all’improvviso. È il primo dicembre 2016 ed è ora di cena: «Desidero non candidarmi alle elezioni presidenziali». François Hollande parla lentamente, ha lo sguardo rassegnato e scandisce ogni parola, come a darle un peso specifico. È visibilmente emozionato, soprattutto quando prova a fare un elenco dei suoi errori: «Ho agito per rilanciare la Francia, proteggendo il nostro modello sociale». Al suo messaggio di dieci minuti affida tutta la sua eredità politica di cinque anni.


Nella storia della Quinta Repubblica, quella di Hollande è una scelta inedita: mai nessun presidente in carica aveva rinunciato a ripresentarsi: «Sono consapevole che la mia candidatura non radunerebbe la sinistra». E ha avuto ragione. In caso di ricandidatura, i sondaggi avevano previsto, per lui, percentuali tra il 7 e il 9% al primo turno delle presidenziali, in quarta posizione dopo François Fillon, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. All’inizio del suo mandato si era presentato come «il presidente normale»: un uomo di 57 anni, in sovrappeso, non troppo alto, che girava in motorino. L’opposto del suo predecessore. «Il cambiamento è adesso», lo slogan della sua campagna elettorale. Ma quella rivoluzione faticò a emergere. A partire dall’economia. Ai francesi assicurò di combattere per la crescita, contrastando il rigore imposto dall’austerity, ma preferì privilegiare i rapporti con la Germania. Proseguì con le politiche d’interventismo militare, nonostante le questioni geopolitiche fossero state messe ai margini del suo programma. Ma a metterlo definitivamente all’angolo la sua vita privata, fatta di scappatelle, pettegolezzi e amanti.

Di F. Bertolino G. Pavesi