Il governo cinese ha ordinato l’arresto di 53 attivisti pro-democrazia a Hong Kong. Si tratta della più grande azione di repressione del dissenso dopo la controversa Legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel giugno 2020. L’esecutivo di Xi Jinping ha difeso l’operazione, sostenendo che gli «arresti sono stati necessari per bloccare potenze estere e individui ad esse collusi, che intendevano minare la sicurezza e la stabilità della Cina».

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Chi sono gli arrestati Tra i 53 arrestati c’è John Clancey, avvocato statunitense specializzato nella difesa dei diritti umani. Anche per questo motivo, il prossimo Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha fortemente criticato l’operazione, definendola un «attacco a chi si batte coraggiosamente per i diritti universali». Blinken ha poi ribadito l’impegno dell’amministrazione Biden in difesa di Hong Kong. In manette sono finiti anche militanti democratici di lungo corso come James To, Lam Cheuk Ting e Benny Tai. Quest’ultimo è un ex docente universitario che ha portato a Hong Kong il sistema delle primarie, con l’obiettivo di scegliere i candidati pro-democrazia che avessero le maggiori possibilità di essere eletti alle elezioni locali. Alle primarie hanno votato oltre 600mila persone, sebbene sia stato impedito di presentarvisi ad attivisti come Joshua Wong, già in carcere con l’accusa di sovversione. Il 6 gennaio la sua casa è stata nuovamente perquisita, mentre 13 candidati alle primarie sono stati arrestati.

«Un Paese, due sistemi» – La consultazione elettorale era inizialmente prevista per settembre, ma è stata posticipata a data da destinarsi, ufficialmente a causa della pandemia. A Hong Kong vige infatti un sistema speciale detto «Un Paese, due sistemi», negoziato con il Regno Unito al momento della cessione alla Cina della città nel 1997. Nell’ex colonia britannica è (o forse sarebbe meglio dire era) possibile eleggere liberamente il governo locale, sono garantite le libertà di stampa e di espressione e vige un sistema economico capitalista. Tale status è garantito almeno fino al 2047, quando Londra e Pechino lo rinegozieranno. Per tale ragione, il governo britannico è tra i più fermi oppositori della politica cinese a Hong Kong. Il ministro degli Esteri Dominic Raab ha definito gli arresti «un doloroso attacco ai diritti garantiti dalla dichiarazione congiunta sino-britannica del 1997». L’esponente del governo Johnson ha poi garantito protezione a coloro che in città hanno ancora un doppio passaporto e ha definito la Legge sulla sicurezza nazionale uno «strumento per mettere a tacere il dissenso».

La difficile posizione europeaAnche l’Unione Europea ha condannato l’operazione di Pechino. Peter Stano, portavoce dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell, ha dichiarato: «Gli arresti sono il segnale di come il pluralismo non sia più tollerato a Hong Kong. Chiediamo la liberazione immediata delle persone detenute». Tuttavia, Bruxelles si trova in una posizione di forte imbarazzo, avendo raggiunto il 30 dicembre 2020 un importante accordo commerciale con Pechino. Alcuni influenti parlamentari europei, come il belga Guy Verhofstadt e il francese Raphael Glucksmann, hanno già espresso la loro contrarietà alla ratifica dell’accordo all’Europarlamento. La Commissione, pur condannando gli episodi di Hong Kong, difende l’accordo, ritenendo fondamentale la cooperazione con la Cina su alcune tematiche come il cambiamento climatico,