Record di affluenza e maggioranza «bulgara» (se non fosse democratica): a raccontare l’esito delle elezioni distrettuali che si sono tenute il 24 novembre a Hong Kong basterebbero i numeri. I candidati pro-democrazia hanno conquistato 390 dei 452 seggi destinati ai membri dei 18 consigli distrettuali della regione. Quasi il 90% per le prime consultazioni indette dopo l’ondata di proteste contro il governo di Pechino. Ha votato oltre il 71% dei cittadini, contro il 47 di affluenza di quattro anni fa.
La risposta del governo – Un messaggio chiaro contro l’establishment rappresentato da Carrie Lam. In un comunicato ufficiale pubblicato in mattinata, la governatrice di Hong Kong ci ha tenuto a dichiarare che le elezioni si sono svolte in modo pacifico e ha assicurato che il governo «rispetta i risultati elettorali». Poi commenta: «Esistono diverse analisi e interpretazioni in merito ai risultati e alcune sono del parere che questi riflettano l’insoddisfazione delle persone per la situazione attuale e i problemi radicati nella società. Il governo di Hong Kong ascolterà umilmente e rifletterà seriamente sulle opinioni dei cittadini».
Cosa succederà ora? – Il risultato delle urne rende evidente che la richiesta di democrazia nella ex colonia britannica è in aumento. Ma non basta a invertire la rotta. I consiglieri distrettuali hanno scarso potere politico e si occupano per lo più di questioni locali. Se è vero che non hanno influenza sul Consiglio legislativo che regola la vita di Hong Kong, ai consiglieri spetta però circa un decimo (117 seggi) del Comitato di 1.1200 membri che sceglie il Governatore della regione. Le prossime elezioni dell’esecutivo si terranno nel 2022, e c’è da augurarsi che per quella data il fronte democratico potrà esprimere la sua voce liberamente.
La risposta di Pechino – I segnali che arrivano dal governo centrale, tuttavia, non sono incoraggianti. «Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale», ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi parlando in Giappone. E ha ribadito come «qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città non avrà successo».
Le proteste – Quella del fronte anti-governativo, al momento, si configura quindi come una vittoria simbolica, e nelle prossime settimane potremmo assistere a un intensificarsi degli scontri che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di protesta. I manifestanti chiedono l’istituzione di una commissione indipendente di inchiesta sulle violenze della polizia, il suffragio universale, il rilascio e l’amnistia per i manifestanti arrestati e l’eliminazione dell’appellativo di “rivoltosi”. «Cinque domande, non una di meno» recita il loro slogan: il risultato delle urne ci dice che non si tratta di una richiesta di pochi.