«Carrie Lam dovrebbe scusarsi», urla una studentessa durante la protesta di domenica ad Hong Kong che ha visto scendere in piazza quasi 2 milioni di persone. Nonostante la legge sull’estradizione sia stata temporaneamente ritirata dal governo (in seguito alle ampie proteste iniziate il 9 giugno), le persone non riescono a fidarsi delle promesse del governo e continuano a occupare le strade della città. Per oggi, lunedì 17 giugno, è stato indetto uno sciopero generale dei lavoratori, degli insegnanti e degli studenti: tra loro anche Joshua Wong, lo studente simbolo della “protesta degli ombrelli” del 2014. Wong, 22 anni, è stato rilasciato questa mattina dopo un mese di reclusione. All’uscita del carcere di Lai Chi Kok, Wong ha detto che la governatrce Lam «non è più qualificata per essere la leader di Hong Kong. Deve riconoscere le sue colpe e dimettersi, farsi carico delle sue responsabilità e lasciare».
Le proteste – Per tutta la notte centinaia di studenti si sono accampati nelle strade che circondano i palazzi istituzionali non ascoltando la polizia che ha annunciato di voler togliere le barriere che bloccano il passaggio delle macchine. Ieri circa due milioni di cittadini sono scesi in strada vestiti a lutto (con t-shirt nere) per lamentare le scelte del governo dell’ex colonia inglese, che al momento ha congelato l’emendamento sull’estradizione in Cina. La governatrice Lam, in seguito all’evolversi delle proteste dello scorso mercoledì, che hanno causato 80 feriti, si era detta dispiaciuta, ammettendo inadeguatezze dal punto di vista della comunicazione della legge e aveva annunciato il rinvio della proposta. I cittadini di Hong Kong però vogliono che questa controversa legge venga definitivamente cancellata e accusano la governatrice di aver mantenuto un atteggiamento filo-Pechino e di non aver rispettato la “voce della città”. Perché? Una legge sulle estradizioni viene vista come una minaccia per le libertà civili e come un segno di intromissione nell’indipendenza giuridica di Hong Kong da parte di Pechino.
Le scuse e la Cina – Solamente nella serata di ieri sono arrivate le scuse esplicite della governatrice Lam che, tramite un comunicato, ha sottolineato l’impegno ad «avere un’attitudine più sincera e umile nell’accettare le critiche e i miglioramenti in modo da poter servire il pubblico». Dall’altra parte il governo cinese continua a sostenere la governatrice di Hong Kong, pur specificando che le proteste di Hong Kong sono una questione «interna». Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lu Kang ha affermato: «Il governo centrale continuerà a sostenere con decisione la governatrice e gli sforzi della Regione amministrativa speciale nell’azione di governo nel rispetto delle leggi». In seguito all’annuncio del “congelamento” della legge sull’estradizione, il vicedirettore del Dipartimento informazioni del ministero della Repubblica popolare cinese, Geng Shuang, aveva infatti sottolineato che «Hong Kong è una Regione amministrativa speciale della Cina (dal 1997) e gli affari di Hong Kong sono affari interni della Cina».
La risposta americana – Intanto dagli Stati Uniti il segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato che «Donald Trump chiederà chiarimenti al G20». Il presidente degli Stati Uniti dovrebbe infatti incontrare a Osaka il leader cinese Xi Jinping verso fine mese, ma la Cina non ha ancora confermato l’incontro. Sull’agenda dei due capi di Stato non ci saranno solo questioni commerciali ma anche la difesa dei diritti umani. Pompeo ha infatti voluto ricordare come Trump sia «sempre stato uno strenuo difensore dei diritti umani». Ma il tycoon non è stato il primo ad esprimersi sulle proteste di Hong Kong. La portavoce della Casa Bianca Nancy Pelosi, in occasione di una visita della delegazione pro-democratica di Hong Kong a Washington, aveva infatti dichiarato «grande preoccupazione» per la proposta di legge dell’ex colonia già lo scorso martedì.