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Un inizio di settimana movimentato per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Lunedì 22 marzo la lira turca ha collassato sui mercati valutari, cedendo più del 14% rispetto al dollaro, che vale attualmente 8,4 lire turche (venerdì si attestava a 7,22). La borsa di Istanbul ha invece dovuto sospendere brevemente le negoziazioni dopo il calo del 9% registrato dal suo indice principale. Il crollo è una diretta conseguenza della decisione di Erdogan di liquidare il governatore della Banca centrale turca Naci Agbal, apprezzato dagli investitori locali e stranieri per aver attuato una politica monetaria più rigorosa, sostituendolo con Sahap Kavcioglu, ex deputato dell’Akp (Partito Giustizia e Sviluppo) di Erdogan e commentatore economico del quotidiano filogovernativo Yeni Safak. Kavcioglu diventerà il quarto governatore nominato da luglio 2019. Nel frattempo, sono giorni che le donne scendono in piazza per protestare contro il ritiro del Paese dalla Convenzione di Istanbul.

La Banca centrale – Naci Agbal, rispettato ex ministro delle Finanze della Turchia, era stato chiamato alla guida della Banca centrale turca a novembre 2020, dopo che la moneta aveva raggiunto il record negativo di 8,58 sul dollaro Usa sotto la guida del genero del “Sultano”, Berat Albayrak, come ministro delle Finanze. In questi pochi mesi, grazie a una politica monetaria che ha puntato ad alzare i tassi di interesse con l’obiettivo di far aumentare il valore della lira turca e allo stesso tempo abbassare l’inflazione, Agbal era riuscito a stabilizzare la situazione, facendo guadagnare alla moneta un 15% di valore rispetto al dollaro. Proprio il 18 marzo la Banca centrale aveva annunciato un ulteriore aumento del tasso di interesse al 19%, mossa che a Erdogan, da sempre ostile agli alti tassi di interesse perché convinto che peggiorino l’inflazione (contro ogni teoria economica tradizionale), non è andata giù. Dello stesso pensiero il nuovo governatore Sahap Kavcioglu, professore poco conosciuto di economia ed ex parlamentare del partito conservatore e filoislamico al governo, che a febbraio scriveva sul quotidiano filogovernativo Yeni Safak che «l’aumento de tassi di interesse porterà indirettamente a un aumento dell’inflazione».

Le proteste – Se il fronte economico vacilla, il fronte sociale è in fiamme in seguito alla decisione del governo di uscire dalla Convenzione di Istanbul, l’accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. Nelle principali città turche, soprattutto ad Ankara, Istanbul, Smirne, migliaia di donne sono scese in piazza per esprimere la loro indignazione, condivisa dai leader di tutto il mondo. “Ritira la decisione, applica la Convenzione“, lo slogan che ha dominato le manifestazioni, insieme ai manifesti con le foto di alcune vittime di femminicidio, fenomeno che nel Paese presenta numeri drammatici. Secondo la piattaforma turca “Noi fermeremo il femminicidio”, nell’ultimo anno in Turchia sono state uccise almeno 300 donne, senza contare le 171 morte in circostanze sospette. Soltanto nei primi 65 giorni del 2021 in Turchia ci sono stati 65 femminicidi e secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza commessa dal partner, rispetto a una media europea del 25%.

Le reazioni – «Un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne», denuncia il Consiglio d’Europa, la cui segretaria generale Marija Pejcinovic Buric ha definito la notizia «devastante». Diversi leader europei inoltre hanno criticato il governo di Ankara: «Non possiamo che rammaricarci fortemente ed esprimere la nostra incomprensione davanti alla decisione del governo turco», ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell. Ma l’esecutivo guidato da Erdogan difende la sua scelta, maturata in più di un anno e probabilmente dettata dalla volontà del partito di ingraziarsi la base più conservatrice del suo elettorato, che considera i principi della Convenzione contrari alle norme dell’Islam e un incoraggiamento al divorzio e all’omosessualità. Firmata da 45 Paesi più l’Unione Europea, la Convenzione fu ratificata nel 2011 a Istanbul e fu proprio Erdogan il primo a firmarla e, successivamente, a vantarsi dei presunti avanzamenti della Turchia nell’ambito della parità di genere. Evidentemente, con la stretta autoritaria, le cose sono cambiate. La prossima settimana è previsto un summit tra la Turchia e i rappresentanti dell’Unione Europea per discutere di vari temi, tra cui l’immigrazione e i rapporti tesi nel Mediterraneo orientale, e il ritiro dalla Convenzione di Istanbul potrebbe essere un altro argomento di scontro.