Anche Damasco è caduta: è la fine di un regime, quello di Bashar al-Assad. Arrivati dall’autostrada M5 che collega le principali città siriane, da Nord verso Sud, i ribelli hanno conquistato una dopo l’altra le città di Aleppo, Hama, Homs e infine anche la capitale costringendo il presidente alla fuga e alla ricerca di asilo politico in Russia dall’alleato Vladimir Putin. Un’avanzata che per dirompenza e facilità di sbaraglio dell’esercito nemico, quello regolare governativo, ha rappresentato la più importante offensiva degli ultimi dieci anni. Pochi spari sul campo: si è combattuto praticamente solo ad Aleppo nelle fasi iniziali di quello che sembrava il riaccendersi di un conflitto civile che seppur a bassa intensità andava avanti da 13 anni. Molti spari in aria invece, per festeggiare, una città alla volta, la «Rivoluzione della misericordia», come è stata chiamata dagli stessi miliziani. È il tentativo di mostrare il nuovo volto del movimento tollerante nei confronti dei membri del governo Assad ancora rimasti a Damasco e delle minoranze cristiane presenti ad Aleppo e in altre zone della Siria.

Le forze jihadiste protagoniste di questo capitolo della storia mediorientale sono una coalizione di fazioni del sunnismo radicale che va sotto il nome di Hayat Tharir al Sham (Hts o «Organizzazione per la liberazione del Levante»). Hts è stata fondata da Abu Muhammad al-Jawlan nel 2017 e nel 2018, come ricostruisce il Center for strategic and international studies, era già stata aggiunta alla lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Antecedente storica di Hts era Jabhat al-Nusra, fondata in Siria nel 2012 come affiliata di al-Qaeda in opposizione al regime di Assad dallo stesso al-Jawlan. Hts ha seguito la trasformazione ideologica del suo fondatore con passato qaedista. L’obiettivo – raggiunto – di Hts era di natura politica: rovesciare il regime siriano. Una forma pragmatica di jihadismo con cui al-Jawlani ha sostituito definitivamente il progetto di jihadismo internazionale. Hts non è solo un’organizzazione paramilitare, ma si è data negli anni una struttura politica e amministrativa. Ciò si deve all’istituzione del cosiddetto governo di salvezza siriano (Gss) che ha in gestione la sanità, l’economia e l’istruzione, riscuote le tasse dai commercianti e preleva i diritti doganali al confine con la Turchia. Al-Jawlani nel tempo ha realizzato quindi un vero e proprio proto-stato con il suo centro nella regione nord-occidentale di Idlib da dove il 26 novembre è partita l’offensiva filo-turca contro le postazioni governative, iraniane e russe.

Tra i miliziani di Hts trovano posto ex ribelli siriani anti-governativi, iniziatori delle prime rivolte armate contro il potere del dittatore Assad, accanto a ex-jihaidisti locali ed ex membri dell’Organizzazione dello Stato islamico (Isis). Ma ci sono anche numerosi mercenari arrivati dalla Turchia, del Caucaso e dell’Asia centrale (in particolare dell’Uzbekistan) fino agli uiguri dello Xinjang (Turkestan orientale) in Cina. Pur non essendo siriani né arabi, questi sono combattenti musulmani sunniti con profondi sentimenti anti-russi e anti-cinesi. Nonostante la matrice ideologica jihadista e la provenienza internazionale della variegata coalizione di Hts e dei suoi alleati, al-Jawlani e gli altri comandanti del movimento insistono nel presentarsi come interlocutori moderati che vogliono rappresentare la Siria a livello internazionale.

L’altra forza rilevante al fianco di Hts nell’offensiva è stata il cosiddetto Esercito nazionale siriano (in inglese Syrian National Army, Sna), autoproclamatosi tale perché non ha nulla a che vedere con l’esercito regolare governativo di Damasco. L’Sna è sostenuto dalla Turchia e controlla le aree più a Nord del Paese e ambisce a isolare le forze curde che controllano il nord est del paese.