Al referendum delle isole Falkland, piccolo arcipelago a largo dell’Argentina nell’Atlantico meridionale, hanno votato 1.517 persone. La domanda era: «Volete che le Isole Falkland mantengano il loro attuale status politico di territorio oltremare del Regno Unito?». 1.513 hanno votato “Sì”, tre persone hanno votato “No” e un voto è andato perduto. L’affluenza è stata del 92%.
Già nelle previsioni della vigilia non c’erano dubbi. Il risultato finale lo ha confermato. Il 99,8 per cento della popolazione delle Isole Falkland ha espresso, con una maggioranza schiacciante, la volontà di mantenere lo status quo, vale a dire la permanenza dell’arcipelago nel Regno Unito.
Tuttavia, il referendum che si è svolto domenica e lunedì alle Falkland, isole Malvinas per gli argentini, è stato considerato “illegale” da Buenos Aires. Il governo argentino infatti, aveva già fatto sapere di voler ignorare il risultato della consultazione poiché la popolazione delle Falkland è costituita da coloni britannici e non ha quindi alcun diritto a pronunciarsi sull’autodeterminazione; affermazione peraltro respinta dal Foreign Office inglese, secondo il quale nel 1833 non esisteva alcun civile sull’isola.
Il governo argentino continua ad insistere sull’apertura di un negoziato bilaterale con Londra per risolvere un contenzioso riapertosi nel 2010 dopo l’inizio di alcune prospezioni petrolifere nelle acque dell’arcipelago. Trent’anni fa infatti, le rivendicazioni argentine sfociarono in un’invasione delle “Malvinas”, che, dopo esser costata la vita a 649 militari argentini e 255 britannici, si concluse con la resa formale delle forze argentine il 14 giugno del 1982.
Il premier britannico David Cameron ha chiesto a Buenos Aires di rispettare l’esito del referendum, che ha mostrato «i risultati più chiari possibili». Secondo Cameron, l’Argentina deve riconoscere la volontà espressa dagli abitanti delle isole contese: «Gli abitanti delle Falkland non avrebbero potuto parlare in modo più chiaro – ha aggiunto Cameron – vogliono rimanere britannici e questa posizione deve essere rispettata da tutti, compresa l’Argentina».
Alessandro Minissi