Ha tenuto tutto il mondo all’oscuro del suo segreto, ma il tempo per Ariel Castro è scaduto. Alla luce del  Tribunale di Cleveland – davanti a giudici, cittadini e parenti delle vittime – il cinquantaduenne dovrà rispondere dell’accusa di stupro e di quella di sequestro di persona nei confronti di Amanda Berry e della figlia di sei anni, Jocelyn nata durante una prigionia, di Gina Dejesus e di Michelle Knight. Tutte e quattro rinchiuse per circa dieci anni nella villetta dell’orrore e liberate lunedì 6 maggio grazie all’intervento di un vicino.

Barbecue con gli amici, serate in birreria con i fratelli, un profilo Facebook aggiornato e un trascorso da autista di scuolabus. La vita di Ariel Castro non era solo questo. Nel suo passato non c’erano solo le partecipazioni alle veglie organizzate per le ragazze scomparse. C’erano le accuse di percosse sulle ex moglie e un’inchiesta aperta su di lui nel 2004 dalla polizia locale, mai portata avanti perché non era stato trovato in casa dagli agenti.

Anche i vicini si erano accorti di qualcosa in quella villetta e ora si lamentano di una polizia troppo inerte. Una donna nuda in giardino, dei colpi battuti dall’interno di una casa che doveva essere disabitata, questi gli episodi che avevano spinto gli abitanti della zona a chiamare gli agenti. Eppure, il capo della polizia di Cleveland, Michael McGrath, ha respinto ogni accusa, smentendo fermamente che i suoi uomini abbiano ricevuto chiamate del genere negli ultimi 10 anni.

Anche sull’ultima chiamata, quella ricevuta dal 911, che ha portato alla liberazione delle quattro prigioniere, si continua a discutere. L’operatrice telefonica è stata, infatti, accusata di poca “umanità” nei confronti di una donna così sconvolta come Amanda Berry.

Proprio Amanda sarebbe la ragazza più provata da questa mostruosa esperienza. Avrebbe partorito la bambina in una piscinetta gonfiabile “per non sporcare troppo”, e sarebbe stata vittima di cinque aborti provocati da Castro con calci e pugni. Le altre ragazze, invece, non sarebbero mai rimaste incinte durante il periodo di prigionia.

Le accuse hanno inizialmente colpito anche i due fratelli di Castro, sospettati di essere complici nel rapimento. Erano stati portati via dalla polizia insieme ad Ariel,  perché si trovavano in casa con lui al momento dell’arresto, ma sono stati poi ritenuti estranei alla vicenda.

Maria Chiara Furlò