Non è possibile entrare negli ultimi giorni di campagna elettorale americana senza tenere conto del terremoto che è stato scatenato dall’ultimo comizio di Donald Trump. The Donald, per la penultima domenica prima del voto, ha depennato dall’agenda swing states e stunt pubblicitari e si è piuttosto concentrato sull’allestimento, in diretta dal Madison Square Garden di New York, di un roboante varietà che ha ricordato a molti una convention di partito. Diversi gli ospiti, soliti i temi: il candidato repubblicano ha voluto alzare i toni e scaldare gli animi della propria base elettorale, quel Maga movement – dallo slogan «Make american great again» – ormai cuore della retorica dei suoi sostenitori. Sull’evento non sono mancate le polemiche, ma nessuno tra i repubblicani sta mettendo toppe: sembra tutto far parte dell’imperante strategia del «purché se ne parli».
Orgoglio Maga – A poco meno di tre chilometri dalla sua Trump Tower, il candidato repubblicano è voluto tornare «a casa» in grande stile scegliendo il Madison Square Garden come palco da cui lanciare l’ultimo grido di battaglia ai suoi. Già la scelta dello stadio, soprannominato dai newyorchesi «lo stadio più famoso del mondo», lascia intendere il messaggio che i repubblicani vogliono lanciare: riempire l’arena di cappelli rossi in uno stato, quello di New York, tradizionalmente blu vuole essere l’orgogliosa affermazione di un movimento la cui portata è ormai ampiamente nazionale. «Make America Great Again» raduna attorno a Trump sul palco comici, cantanti, imprenditori e atleti. Per l’ultimo evento prima del voto sono tornati i pezzi da novanta della campagna repubblicana, nonché vere e proprie star della convention di luglio come il wrester Hulk Hogan, l’ex giornalista della Fox Tucker Carlson e il magnate Elon Musk. A fianco di Trump anche il suo candidato J.D. Vance. Mentre ha sopreso la presenza di Melania Trump, quasi mai presente ai comizi del marito e in quest’occasione addirittura sua presentatrice.
Rabbia, razzismo e insulti – Non hanno sorpreso invece i temi affrontati dagli ospiti e da Trump stesso. Il discorso che più di tutti ha guadagnato critiche è quello del comico Tony Hinchcliffe, che ha divertito il pubblico con una serie di stereotipi razzisti passati per battuta, prendendo soprattutto di mira il Porto Rico e i suoi abitanti. All’intervento hanno risposto molti artisti latinoamericani come Ricky Martin e Bad Bunny, che sui social si sono schierati dalla parte di Kamala Harris. Prevedibili gli attacchi agli avversari politici, con Tucker Carlson su tutti che se l’è presa personalmente con la candidata democratica e ne ha sbeffeggiato intelletto e origini. La sfilata di ospiti sul palco è durata più di due ore, Trump ha parlato alla fine e per 78 minuti. Ha detto che il giorno dell’elezione sarà un giorno di «liberazione», che gli Stati Uniti sono «occupati» dagli immigrati e che bisogna fare fronte comune contro il «nemico interno». Si è parlato poco di piani, anche quando il discorso ha toccato punti forti per i repubblicani come l’economia.
Questione di basi – Kamala Harris domenica era a Philadelphia, per parlare a una chiesa della comunità nera. Il suo candidato vice, Tim Walz, si trovava invece in Nevada per parlare di diritti riproduttivi delle donne. I due democratici non si sono discostati dalla loro strategia, volta ad allargare il proprio elettorato di riferimento e convincere gli indecisi, e non hanno commentato lo show imbastito dai rivali. Se da un lato il rischio è di dare visibilità ai repubblicani e stare al loro gioco, dall’altro il vero problema è parlarne a una base di consensi molto frammentata, che arriva a unire sostenitori di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez a repubblicani in disaccordo con Trump. I repubblicani invece possono vantare un consenso più solido e leale, legato proprio ai fedelissimi Maga, e a New York ne hanno celebrato la compattezza.