Insediamentigiusta

Lunedì 6 febbraio la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato una legge che regolarizza alcuni insediamenti ebraici in Cisgiordania. Approvato con 60 voti a favore e 52 contrari, il provvedimento riguarda circa quattromila case costruite negli anni dai coloni su terreni appartenenti a palestinesi. Ai proprietari espropriati non resta che scegliere fra le forme alternative di risarcimento che la legge offre: accettare il pagamento in vent’anni di una somma pari al 125% del valore attuale del terreno, oppure, se disponibili, ottenere altri appezzamenti di natura equivalente, ma in un’altra zona della Cisgiordania.

Un accordo lungo 50 anni – I confini della Cisgiordania (detta anche West Bank, “sponda occidentale”) vennero definiti nel 1967 al termine della guerra dei sei giorni. Dopo la vittoria di Israele sulla coalizione araba formata da Egitto, Siria e Giordania, il territorio rimase conteso fra lo Stato di Palestina e le truppe ebraiche. Con gli accordi di Oslo del 1993 la situazione sembrò avviarsi verso una soluzione pacifica: gli israeliani accettarono di ritirare il proprio esercito dalla Cisgiordania, riconoscendo il diritto all’autogoverno dei palestinesi. Gli accordi lasciarono però irrisolta la questione degli insediamenti dei coloni nella West Bank. Insediamenti che non si arrestarono negli anni successivi, incoraggiati dalla politica oltranzista di alcuni partiti ultraconservatori. Da allora, la colonizzazione delle terre palestinesi in Cisgiordania è stata condannata a più riprese dalla comunità internazionale. Da ultimo, è intervenuto anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che il 23 dicembre 2016, grazie all’astensione degli Stati Uniti, ha approvato una risoluzione che definisce la colonizzazione «una flagrante violazione del diritto internazionale e un ostacolo al progetto di due Stati che vivano in pace e sicurezza, entro i confini internazionalmente stabiliti».

Un treno merci carico di problemi – Decisa dal presidente uscente Barack Obama, l’astensione degli Stati Uniti era stata criticata da Donald Trump. Il neo-presidente aveva promesso al suo omologo israeliano, Benjamin  Netanyahu, di rinsaldare il legame americano con Gerusalemme, allentatosi durante gli otto anni dell’amministrazione Obama. Ed è probabile che, forte di questo appoggio, il primo ministro israeliano abbia deciso di accelerare l’approvazione della legge sulla regolarizzazione, nonostante la forte opposizione interna e internazionale . Il leader del partito di minoranza alla Knesset, Isaac Herzog, ha definito il provvedimento «un treno merci carico di condanne internazionali contro Israele, i suoi ufficiali e il suo esercito». Perplessità espresse anche dal procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit, che si è detto incerto sulla possibilità di difenderne la legittimità dinanzi ai tribunali.  L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha giudicato la legge «inaccettabile e contraria al diritto internazionale», mentre per  l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) si tratta di «un furto legalizzato». Anche la Turchia, per bocca del ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, ha condannato la legge perché «distrugge le basi per la soluzione dei due Stati». Esulta, invece, Naftali Bennett, leader di Focolare ebraico, partito ultraconservatore vicino alle posizioni dei coloni.  Nei giorni scorsi, Bennett aveva criticato l’operato dell’alleato di governo Netanyahu per aver consentito lo sgombero di alcuni insediamenti ad Amona, in Cisgiordania, in esecuzione di una sentenza della Corte suprema di Gerusalemme.