Il processo all’ex presidente Mohamed Morsi è da rifare. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione egiziana, annullando una condanna di ergastolo a carico dell’esponente dei Fratelli musulmani. In questo processo era accusato di spionaggio – tra il 2005 e il 2013 – in favore di Hamas, un’organizzazione paramilitare palestinese impegnata nella resistenza contro il governo israeliano e coinvolta in attentati di tipo terroristico sul territorio israelo-palestinese. Si tratta della seconda condanna a Morsi annullata in pochi giorni. Una settimana fa, sempre dalla Cassazione, era stata revocata la sentenza del 2015 che prevedeva la condanna a morte dell’imputato per aver favorito la fuga dal carcere di alcuni esponenti di vertice dei Fratelli musulmani durante la rivoluzione di piazza Tahrir tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 2011. Altri processi restano comunque a carico di Morsi: uno in corso, per oltraggio alla magistratura. Due conclusi ma con sentenza valida: ergastolo per spionaggio pro Quatar, stabilito la scorsa primavera, e vent’anni di carcere per aver represso nel sangue una manifestazione nel 2012 davanti al palazzo presidenziale.
Morsi è il primo presidente uscito da elezioni democratiche nel 2012, dopo la destituzione del generale Hosni Mubarak – uomo solo al comando per quasi trent’anni – sull’onda delle proteste popolari in Medio Oriente note come ‘primavera araba’. È un esponente di Libertà e Giustizia, partito espressione del fondamentalismo islamico e volto a ristabilire la legge coranica nel Paese, ma che ha sempre dichiarato apertamente di rifiutare la lotta armata. Nel novembre 2012 si è attribuito con decreto presidenziale ampi poteri giudiziari, dando al proprio governo una svolta autoritaria ed è stato poi destituito nel luglio 2013 da un colpo di stato per mano dell’ex ministro della difesa egiziano Abd al-Fattah al-Sisi.
Al-Sisi è il presidente con cui l’Italia è in lotta per scoprire la verità sull’omicidio di Giulio Regeni, ventottenne triestino ricercatore a Cambridge trovato morto e con evidenti segni di torture corporali il 3 febbraio di quest’anno, sulla strada che collega il Cairo ad Alessandria. L’Egitto di al-Sisi è un luogo dove la libertà di espressione è limitata e si continuano a mettere in carcere giornalisti (l’ultimo arresto, tre giorni fa, coinvolge due presidenti del sindacato giornalisti per «aver ospitato fuggitivi»). È lo stesso Paese, però, a cui il Fondo Monetario Internazionale ha appena accordato – in data 11 novembre – un prestito da 12 miliardi di dollari spalmabili su tre anni per sostenere lo sviluppo e le riforme economiche anti crisi già inaugurate dal governo.