Dalla Florida alla Pennsylvania in pochi fogli. Cinque mesi dopo lo scandalo di Mar-a-Lago che ha investito l’ex capo della Casa Bianca Donald Trump, l’attuale presidente americano si trova in una situazione simile. In due suoi ex uffici sono stati trovati diversi documenti che sarebbero stati presi da Biden all’epoca in cui era vicepresidente. Trump si è subito scatenato sui social: «Si mobiliti l’Fbi, a quando i raid nelle case di Joe Biden e alla Casa Bianca?».

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Bufera su Biden –   I primi file che imbarazzano la Casa Bianca sono stati ritrovati in un ufficio del «Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement», utilizzato da Biden dal 2017 al 2019, periodo in cui era professore onorario alla University of Pennsylvania. Il contenuto delle cartelle, rinvenute lo scorso 10 gennaio, riguarderebbe delle relazioni dell’Intelligence su Ucraina, Iran e Regno Unito, oltre a lettere e carte di carattere personale (tra cui messaggi di cordoglio per la perdita del figlio Beau), stando a quanto riportato dall’emittente Cnn: informazioni quindi risalenti al quadriennio 2013-2016, anni in cui l’attuale presidente occupava il ruolo di vice durante il secondo mandato Obama. Sempre a detta della Cnn, i documenti sarebbero finiti tra gli scaffali dell’Archivio Nazionale già dallo scorso 2 novembre, nel periodo coincidente con le fondamentali elezioni di midterm, ma non sarebbero stati diffusi fino a oggi.

Cosa era successo a Trump – L’8 agosto del 2022 le forze dell’Fbi fanno irruzione in una villa a Mar-a-Lago, in Florida, di proprietà di Donald Trump, per cercare dei documenti classificati. Per le normative Usa, al termine del mandato, Trump avrebbe dovuto lasciare agli Archivi Nazionali qualsiasi tipo di documentazione ufficiale. In totale vennero rinvenuti 15 scatoloni e 184 documenti (di cui 60 top secret) che, secondo quanto scoperto al tempo dal Washington Post, conterrebbero materiale riguardante operazioni militari e la preparazione alla difesa nucleare di un governo straniero (i file sarebbero al momento ancora sotto esame da parte degli investigatori federali). Le critiche mosse allora dal presidente Biden nei confronti del tycoon, reo di non aver collaborato con le autorità e di aver cercato di bloccare la restituzione delle carte al dipartimento di Giustizia, si stanno rivelando un’arma a doppio taglio per l’attuale amministrazione, per quanto i legali della Casa Bianca abbiano dichiarato l’assoluta estraneità dei fatti da parte del Presidente. Nonostante le differenze tra i due casi (per quanto riguarda la quantità dei dossier e la collaborazione con la giustizia), il presidente si trova adesso in una posizione scomoda. A settembre infatti lo stesso Biden su Trump aveva detto: «Come è possibile che qualcuno sia così irresponsabile?», parole che stanno scatenando il dibattito sui media americani.

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Gli sviluppi – Dalla Casa Bianca intanto si cerca di sgonfiare la vicenda, definendo i file come «non particolarmente interessanti» e «di scarso interesse per l’intelligence». La palla passa adesso al procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland, che ha appena ricevuto un rapporto preliminare da John Launsch, l’attuale procuratore capo della città di Chicago, e dovrà decidere se avviare o meno una procedura penale. La scelta di Launsch non è casuale. Ha avuto l’incarico di raccogliere materiale sulla vicenda di Biden proprio perché nominato da Trump, in modo da evitare di scatenare lamentele da parte dell’opposizione. Lo stesso Garland era stato anche uno dei funzionari coinvolti in prima persona nella decisione di inviare l’Fbi a Mar-a-Lago e ora si potrebbe trovare a prendere decisioni simili su Biden.