Il leader socialista Pedro Sanchez ci ha provato, ma ha fallito. La sua candidatura a Primo Ministro è stata bocciata dal Parlamento di Madrid con 219 voti contrari, 130 favorevoli e un astenuto. Così, è dalle elezioni dello scorso 20 dicembre che la Spagna è senza governo: l’esito delle urne aveva creato un Parlamento frammentato, con i popolari dell’ex Primo Ministro Mariano Rajoy primi, ma senza la maggioranza necessaria per governare. I socialisti secondi e gli ex indignados del partito Podemos terzi. Dopo gli inutili tentativi di Rajoy per formare l’esecutivo, all’inizio di febbraio il re Felipe VI aveva incaricato Pedro Sanchez.
Un mese di trattative serrate aveva portato a un’intesa dei socialisti con il partito Ciudadanos, guidato da Albert Rivera. La giovane formazione “dei cittadini”, di posizioni centriste, era riuscita ad agguantare 40 seggi che sommati ai 90 del Psoe fanno un totale di 130 seggi. Un numero ancora molto lontano dai 176 richiesti per avere la maggioranza in Parlamento. Fondamentale sarebbe stato l’appoggio di Podemos, guidato da Pablo Iglesias: ma il leader dai capelli lunghi ha detto no a una coalizione che comprenda Ciudadanos, movimento “troppo di destra” e “troppo vicino alla linea tenuta dai popolari negli ultimi quattro anni di governo”.
Il dibattito nel Congresso spagnolo è stato caratterizzato da toni molto aspri e niente fa pensare che fra Podemos e il Psoe possa crearsi un’improvvisa armonia. Nel corso di febbraio, era stato proprio Iglesias ad offrire un’alleanza a Sanchez ma ci sarebbe stato bisogno del sostegno degli indipendentisti catalani (i partiti Esquerra Republicana e Democracia i lliberat, l’antica Convergencia i Uniò): idea che i socialisti non possono accettare. Dopo la bocciatura, Sanchez ha una seconda possibilità la sera di venerdì 5 marzo, quando è previsto un nuovo voto in Parlamento, stavolta con la maggioranza semplice. Se mancherà anche questa, scatterà la procedura prevista dalla Costituzione: se in due mesi ancora non si troverà un governo, il Re dovrà sciogliere le camere e far tornare gli spagnoli alle urne il 26 giugno. Dai mercati e da Bruxelles cominciano ad arrivare segnali di preoccupazione perché tenere nuove elezioni a giugno vorrebbe dire lasciare il Paese senza governo almeno fino ad agosto 2016.
Livia Liberatore