epa03983392 A South African boy walks through a field being ploughed near the home of the late South African president Nelson Mandela in his ancestral village of Qunu, South Africa, 09 December 2013. The former South African president and anti-Apartheid icon died after a long illness 05 December at the age of 95. He will be buried at his ancestral home in Qunu on 15 December 2013.  EPA/NIC BOTHMAUna settimana fa la morte di Nelson Mandela riportava il Sudafrica al centro del mondo. Giornali e televisioni hanno parlato dell’uomo e della sua nazione: la storia, antica e recente, la segregazione razziale. Dal 1994, inizio della presidenza di Madiba, sono passati quasi vent’anni. La lotta alla segregazione, sul piano almeno legale, è finita, ma il Sudafrica ha numerosi altri struggles, battaglie civili, da affrontare. Perché le cose vanno male, sotto molti punti di vista e adesso che Mandela non c’è più il Paese dovrà cominciare a trovare, da solo, la sua strada di risalita.

Politica
La commemorazione globale andata in onda martedì scorso dallo stadio di Johannesburg ha imbarazzato il governo non solo per il falso interprete del linguaggio dei segni, ma anche per i fischi al presidente Jacob Zuma, da quattro anni alla guida del Paese e dal 2007 presidente dell’African National Congress, il partito socialdemocratico di Nelson Mandela. La popolarità di Zuma è al punto più basso dalle ultime elezioni. Nel sondaggio della TNS, uno dei maggiori centri di ricerca sudafricani, soltanto il 42 per cento degli intervistati ha risposto di credere ancora nel presidente. Va ancora peggio tra i più giovani: tre su cinque non vogliono che Zuma sia rieletto alle prossime votazioni, nel 2014.
D’altronde il presidente con cinque mogli e venti figli dichiarati è sempre al centro di qualche scandalo. L’ultimo, il Nkandlagate, va avanti da più di un anno: l’accusa è di essersi costruito una residenza lussuosa nel suo villaggio natale, Nkandla appunto, con i soldi dello Stato. Ma di gate Zuma ne ha conosciuti parecchi. L’anno scorso destò scandalo quando fece atterrare l’aereo privato di una famiglia di nababbi indiani, i Guptas, in un aeroporto militare super blindato. Nel 2005 venne accusato di stupro da una 31enne attivista dell’African National Congress, il partito di Zuma, sieropositiva. Zuma ribatté che il rapporto era stato consensuale e nel 2006 la corte lo dichiarò innocente. Più lungo fu il processo per frode fiscale e corruzione, iniziato nel 2004 e finito soltanto cinque anni dopo, a ridosso dalla sua elezione a Presidente del Sud Africa.
Agli scandali si aggiunge una situazione politica estremamente monopolizzata e statica: dal 1994 ad oggi le elezioni sono sempre state vinte dallo stesso partito, l’ANC.

Economia
In vent’anni la situazione economica del Paese è migliorata, ma la spinta positiva sembra essersi ormai esaurita. La povertà è calata del 10 per cento e il Pil pro capite è salito del 40, arrivando a una media di 11 mila dollari sudafricani annui (circa 770 euro). Però la crescita del Paese, soprattutto se paragonata ad altri con un’economia simile, ha rallentato e nel futuro rallenterà ancora. Alla base della contrattura c’è una disoccupazione altissima, 30 per cento, con un giovane su due non occupato. Il reddito rimane poi mal distribuito: il Sudafrica ha un indice di Gini (l’indice che misura l’equità della distribuzione della ricchezza in un Paese) altissimo, il 68 per cento, con i soldi concentrati in poche mani, nella maggior parte dei casi bianche.
Per arginare la crisi, il governo di Pretoria ha commissionato molte opere pubbliche, finanziato progetti e aumentato, a lungo andare, il suo debito pubblico. Inoltre, l’economia sudafricana si basa, per larga parte, sui commerci con l’estero. E, visto che il suo partner principale è l’Europa, anche le aziende sudafricane sono state contaminate dalla crisi occidentale.

Criminalità
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Spesso si parla del Sudafrica come della capitale dello stupro. Le statistiche a riguardo sono annuali ma poco affidabili, perché i casi denunciati sono solo una piccola parte, più o meno un decimo. Dati attendibili o meno, quelli forniti dalle associazioni non governative fanno comunque impressione: una donna su tre, stima l’ISS, Institute for Security Service, è stata vittima di violenza nella sua vita. E, dall’altra parte, circa il 37 per cento degli uomini è stato accusato almeno una volta di stupro.
La vittima è giovane, di media ha 21 anni e nell’86,9 per cento dei casi è di etnia africana. Non ha un lavoro. E conosce il suo stupratore. Ex fidanzato, vicino di casa, amico, conoscente. Diversa la casistica degli stupri collettivi, che sono quasi sempre compiuti da un gruppo di sconosciuti, magari amici «annoiati in cerca d’intrattenimento», come dichiarano gli aggressori. Minacciano la vittima con la pistola e di solito è difficile denunciarli: per paura, ma anche perché sono degli sconosciuti, e rintracciarli è difficile. Ma anche quando la denuncia c’è, il seguito è quasi scontato. Il 70 per cento di chi commette stupri di gruppo non viene accusato. Gli arresti, negli stupri singoli, sono invece il 58 per cento. Però poi il numero diminuisce man mano che avanza il grado di giustizia. Solo un terzo degli accusati finisce sotto processo. I casi di condanna sono pochissimi: appena il 4,9 per cento degli stupri di gruppo e 6,6 di quelli singoli.

Susanna Combusti