Prima del 7 gennaio quasi solo i francesi e gli appassionati di satira conoscevano Charlie Hebdo. Da quel giorno tutto il mondo sa cos’è Charlie Hebdo. La sede parigina del settimanale ha subito un attacco terroristico che ha causato 12 morti, tra cui il direttore Stéphane Charbonnier. Due uomini vestiti di nero e armati di kalashnikov sono entrati nella redazione e hanno fatto fuoco, poi sono fuggiti gridando «Allah akbar» (Allah è grande). Pochi istanti prima dell’attacco, il settimanale satirico aveva pubblicato sul proprio profilo Twitter una vignetta su Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico.
Il periodico è noto per i suoi toni irriverenti e le sue vignette provocatorie e la sua storia inizia negli anni sessanta con un altro nome: Hara-Kiri. Questo mensile, lanciato nel 1960 dal Georges Bernier e François Cavanna e da loro definito «journal bête et méchant» (giornale stupido e cattivo), fu al centro di molte polemiche. La pubblicazione fu interdetta dalla magistratura nel 1961 e poi di nuovo cinque anni dopo. Nel 1969 il mensile divenne un settimanale col nome L’hebdo hara-kiri, ma l’atteggiamento rimase lo stesso: alla morte di Charles de Gaulle titolò in copertina «Bal tragique à Colombey – un mort» (Tragico ballo a Colombey [=residenza di De Gaulle] – un morto), riferendosi a un incendio che in una discoteca aveva provocato 146 morti appena dieci giorni prima. La pubblicazione venne nuovamente bloccata ma, stavolta, il gruppo editoriale decise di aggirare l’ostacolo cambiando il nome del giornale: nacque così Charlie Hebdo. All’inizio non ebbe gran fortuna e dovette chiudere dal 1981 al 1992, ma poi risorse nella sua seconda versione che beneficiò delle firme d’avanguardia degli anni settanta: Cavanna, Delfeil de Ton, Gébé, Wolinski e Cabu.
Le vicende che rientrano nell’ambito dell’attentato del 7 gennaio hanno inizio nel 2002, quando il cronista Robert Misrahi pubblica un articolo intitolato Coraggio intellettuale nel quale elogia il libro La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci, sostenendo la teoria di una crociata dell’Islam per conquistare l’Occidente. Il giornale venne sommerso da critiche e accuse di razzismo, sia da alcune associazioni sia dai lettori. Nel 2006 il direttore è Philippe Val, e la situazione precipita ulteriormente: Charlie Hebdo ripubblica la serie di vignette caricaturali su Maometto comparse inizialmente sul quotidiano danese Jyllands-Posten e nei Paesi musulmani scoppiano proteste violente. Le autorità francesi tentano di mettere al bando il numero in questione, ma senza risultato. Tre anni dopo Stephane Charbonnier, il vignettista Charb, diventa direttore.
Nel 2011 il settimanale subisce il primo attentato. Nella notte tra l’1 e il 2 novembre la sede del giornale viene distrutta da bombe Molotov. Il giorno successivo era programmata l’uscita del numero dedicato alla vittoria del partito fondamentalista islamico nelle elezioni in Tunisia. Sulla copertina c’è una vignetta satirica con Maometto che dice «100 frustate se non muori dalle risate» e il titolo «Charia Hebdo». Anche il sito del giornale venne attaccato dagli hacker. Gli inquirenti dissero che gli attacchi erano di matrice islamica.
Il 7 gennaio 2015, Charlie Habdo è colpito ancora più duramente. In pieno giorno, proprio di mercoledì quando la redazione è piena. Muoiono il direttore, sette giornalisti, un addetto alla portineria, uno dei poliziotti assegnati alla protezione di Charbonnier, un invitato alla riunione di redazione e un secondo poliziotto, colpito sul marciapiede di fronte all’edificio.
Federica Scutari