In carcere per aver cucinato per i militanti dell’Isis in Siria. Il tribunale di Amman, in Giordania, ha condannato un cittadino giordano a un anno e mezzo di prigione per affiliazione a un’organizzazione terroristica. Eppure, stando alle dichiarazioni del suo avvocato, l’uomo non avrebbe mai partecipato ai combattimenti e sarebbe tornato in Giordania spontaneamente.
Storie come la sua sembrano all’ordine del giorno. A inizio dicembre Le Figarò ha rivelato come molti francesi partiti alla volta della Siria stiano disperatamente cercando di tornare a casa. I motivi? Il freddo, la paura, la difficoltà di adeguarsi alla vita spartana del combattente (“il mio iPod non funziona più”, avrebbe dichiarato uno di loro), ma anche la delusione. Sembra infatti che a molti aspiranti jihadisti vengano affidati compiti poco “eroici”: fare il bucato, pulire le latrine e, appunto, cucinare. Con buona pace di chi sognava di imbracciare le armi contro gli infedeli.
Già si parla delle difficoltà giuridiche connesse con il rientro in patria di questi estremisti delusi. Il ministero degli Interni austriaco ha reso noto che per chi ha lasciato il Paese per unirsi all’Isis rientrare in Austria sarà “quasi impossibile”. Ancor più vaga la strategia della Francia: fare il possibile affinché nessun estremista francese riesca a espatriare e dimostrare fermezza per chi ritorna. Spetterebbe alla giustizia modulare le condanne a ciascuno dei jihadisti pentiti (o delusi?) in base alle loro responsabilità. La giustizia giordana, invece, ha sposato appieno la linea dura: anche dichiararsi solidale all’Isis su Facebook può portare ad una condanna. Figuriamoci cucinare per i jihadisti. C’è chi sostiene che il regno Hascemita stia esagerando, ma secondo il portavoce del governo la strategia, per quanto dura, è lungimirante. Il Paese, che confina sia con l’Iraq che con la Siria, è molto esposto al rischio attentati a causa della sua partecipazione alla coalizione anti-Isis.
Chiara Severgnini