Tredici americani su cento sulla scheda elettorale non scriveranno né il nome di Donald Trump né quello di Hillary Clinton. O, almeno, non hanno intenzione di farlo. Tra indecisi e sostenitori dei candidati indipendenti, un elettore su otto si rifiuta di votare per quelli che vengono considerati i due aspiranti presidenti Usa più impopolari della storia. Da aprile (in piene primarie) ad oggi, la percentuale degli americani che non sa per chi votare si è dimezzata. Tuttavia il dato rimane storicamente alto. La strategia di Hillary è quella di richiamare i connazionali alle urne, soprattutto le minoranze, come quella afroamericana, che sembrebbero orientate per lei. Donald invece preferisce scoraggiare gli americani ancora indecisi ma orientati verso Clinton piuttosto che convincerli a votare repubblicano.

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Huffington Post, i floating voters, gli incerti, sarebbero il 5.8%. Il dato, però, non è omogeneo: all’interno vi ricade chi non sa per quale candidato votare, chi non è nemmeno sicuro di recarsi  ai seggi e chi ha già fatto la sua scelta ma non vuole dirla. La prima categoria finirebbe per favorire l’ex segretario di Stato: il voto di chi è titubante, di solito, va a favore del mantenimento dello status quo, in questo caso la Clinton. Ma è sull’ultima categoria di elettori che si concentrano le speranze del tycoon: secondo alcuni analisti, parte dei sostenitori di Trump sarebbe poco propensa ad esplicitarlo nei sondaggi. Stessa cosa, fa notare il Guardian, era accaduta con Brexit: tanti di quelli che si erano detti indecisi avevano poi messo la crocetta su “Leave”.

Gary Johnson (Libertarian Party) e Jill Stein (Verdi). I due candidati indipendenti sono dati, insieme, all'8%

Gary Johnson (Libertarian Party) e Jill Stein (Verdi). I due candidati indipendenti raggiungerebbero, insieme, l’8%

E se alto è il numero degli indecisi, significativo è anche quello degli americani che intendono votare per un candidato indipendente. Secondo gli ultimi exit poll, Gary Johnson (Libertarian Party) e Jill Stein (Verdi) raccoglierebbero insieme l’8% dei consensi. Una percentuale quadruplicata rispetto al 2% guadagnato dagli indipendenti alla tornata elettorale del 2012. Entrambi, però, sono calati di molto nei sondaggi dall’estate a oggi. Johnson, che aveva raggiunto un picco del 9% in agosto, è dato al 6%, mentre Stein al 2%. Parte dei voti della candidata green sono confluiti in quelli della Clinton, che ha fatto propria la tematica ambientale. Allo stesso tempo le idee liberali di Stein strizzano l’occhio ai sostenitori di Bernie Sanders, togliendo potenzialmente qualche voto all’ex first lady. Delusione anche tra i sostenitori di Johnson, che si erano illusi che il 2016 avrebbe segnato l’ingresso del Libertarian Party tra i partiti principali. Ma una serie di inciampi ha frenato la corsa dell’ex governatore del New Mexico: le gaffe su Aleppo e sui leader europei, l’assenza ai dibattiti presidenziali e il fatto di essere diventato più uno slogan di protesta che un candidato realmente conosciuto dagli elettori.

Ma gli americani chiamati alle urne potrebbero scrivere anche altri nomi sulla scheda elettorale. Uno è quello di Evan McMullin, che “rischia” di vincere nello Utah: al momento è dato al 28%. Mormone, come più della metà degli abitanti dello Utah, e orientato a destra, potrebbe intercettare gli elettori locali scontenti di Trump e Clinton. Sarebbe la prima volta dal 1968 che un candidato indipendente si trova a vincere in uno degli stati dell’Unione. Un altro candidato in gara è Darrell Castle, del Constitution Party. Veterano del Vietnam e avvocato, è molto conservatore: tra le sue proposte, il ritiro degli Usa dalla Nato e la fine della Federal Reserve.