Intimidire, reprimere, soffocare e uccidere. Tra il suono della campanella e il cambio dell’aula il regime iraniano avrebbe oltrepassato ancora il limite. L’ennesima follia è successa a Qom, grande centro a sudovest di Teheran, dove centinaia di bambine e ragazze, dai dieci anni in sù, sono state avvelenate nelle loro scuole. «Si è scoperto», ha dichiarato il viceministro della salute Younes Panahi, «che alcune persone volevano chiudere le scuole, specialmente quelle femminili». Un articolo scientifico del 2017 individua nell’avvelenamento «intenzionale o accidentale» la seconda causa di morte in Iran. In conferenza stampa, Pahani ha confermato il sospetto di centinaia di famiglie spaventate. È da novembre che gli ospedali di Qom vedono arrivare bambine con sintomi simili: mal di testa, nausea, tosse, palpitazioni e respiro difficile. Anche a Borujerd, altro centro a sudovest di Qom, nelle ultime 48 ore sono state portate in Ospedale 90 studentesse con sintomi identici.

La vicenda- Le prime bambine ad essere ricoverate, a novembre, erano 18. Già a fine dicembre i consigli degli studenti di varie scuole avevano denunciato «focolai di avvelenamento» nelle mense. Il passaparola tra le persone ha portato le famiglie a prendere provvedimenti. Il 14 febbraio un gruppo di genitori si è piantato davanti al governatorato della città pretendendo di ricevere spiegazioni. In assenza di risposte le famiglie hanno continuato a restare in stato di allarme, la settimana scorsa altre 11 sono finite in ospedale e le scuole sono state chiuse per due giorni. «Avvelenamento intenzionale» sono le parole usate da Pahani. Non è ancora chiaro quali siano le sostanze utilizzate per intossicare le allieve ma il viceministro ha dichiarato che non c’è rischio di trasmissione, viralità e che non si tratta di sostanze di uso militare. «La gran parte dei casi è curabile» ha detto Pahani, dell’altra parte nessuna notizia.

Provvedimenti- I Ministeri dell’Istruzione e dell’Intelligence «stanno collaborando per trovare la fonte dell’avvelenamento» ha dichiarato il Ministero della Salute dell’Iran. Non ci sono ancora arresti ma tra le autorità e sui media sembra che l’unico colpevole non sia una persona ma un credo: il fanatismo religioso. Qom è definita città santa ed è il centro per eccellenza degli studi sciiti in Iran, l’opinione pubblica crede che questo atto criminale sia stato un modo del regime per scoraggiare le ragazze a frequentare le scuole e perseguire un percorso di formazione. «È la vendetta del regime terrorista contro le coraggiose donne che hanno sfidato l’obbligo della Hijab» ha twittato l’attivista iraniana emigrata Masih Alinejad. Un metodo inumano che sembra funzionare: «delle 250 della mia scuola, continuano a venire in aula in 50» ha spiegato un’insegnate anonima su Radio Farda, una delle stazioni radio più seguite.

Il paese dei diritti Inumani- Dopo le proteste a livello nazionale in Iran, iniziate il 16 settembre 2022, in seguito all’assassinio di Mahsa Amini, le forze di sicurezza dello Stato hanno usato una repressione brutale, un’evidente violenza contro i manifestanti e la popolazione. Tra esecuzioni e condanne a morte, questo avvelenamento è solo uno dei tanti crimini contro i diritti umani che sono stati commessi dall’Iran. Secondo Human Rights Monitor Il numero di manifestanti uccisi in Iran, fino a sabato 10 dicembre 2022, è di 577 persone. La cifra reale è di almeno 700 persone ma solo 577 vittime sono state certificate. Tra loro sono state registrate almeno 60 donne. Oltre ai ferimenti e alle uccisioni, si stima che almeno 30.000 persone siano state arrestate, tra attivisti civili, attivisti politici, studenti e giornalisti. Migliaia i torturati nelle carceri. Le alte cariche dell’Iran, tra cui il presidente Ebrahim Raisi, il capo della magistratura Gholam-Hossein Mohseni-Eje’i e il presidente del parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf, sono tutti direttamente coinvolti in questi crimini. La comunità internazionale deve ritenerli responsabili e operare affinché affrontino la giustizia.