Con l’operazione “Martello di Mezzanotte” alla fine Donald Trump ha deciso. Gli Stati Uniti hanno attaccato tre siti nucleari iraniani nella notte tra il 21 e il 22 giugno: a colpire gli obiettivi Fordow, Natanz e Isfahan sono stati in totale 14 bombe bunker-buster (indipensabili per distruggere target sepolti sotto le montagne) e diversi missili Tomahawk. Il presidente Usa ha scritto sul suo social Truth di aver «completamente e totalmente distrutto» i tre siti. Nessun dubbio per Trump: «Tutti i centri nucleari in Iran hanno subito danni monumentali, come mostrato dalle immagini satellitari. Annientamento è un termine esatto!». Dall’altra parte, i vertici di Teheran negano di aver subito danni significativi al loro programma nucleare. Nessuno sa ancora quale sia la verità, solo nei prossimi giorni le intelligence dei paesi coinvolti elaboreranno dei rapporti per chiarire l’impatto dell’attacco americano.

Donald Trump attacco Iran

Donald Trump nella Situation Room durante l’attacco USA all’Iran (Ansa)

Cosa sappiamo – Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) , prima dello scoppio della guerra la Repubblica islamica poteva contare su 9250 chili di uranio, di cui 400 arricchiti al 60% (90% il livello necessario per costruire l’arma). Il direttore dell’Agenzia, Rafael Grossi, parla di «danni molto pesanti» su Fordow dopo i bombardamenti Usa. Sulla stessa linea il segretario della Difesa Pete Hegseth e il capo dello Stato Maggiore statunitense Dan Caine: in una conferenza stampa congiunta si sono limitati ad affermare che i danni sono «seri» e che «il programma iraniano di sviluppo dell’arma nucleare è stato ritardato». Secondo Mick Mulroy, ex ufficiale del Pentagono durante la prima amministrazione Trump, «con il tipo e la quantità di munizioni usate, è probabile che l’Iran sia andato indietro dai due ai cinque anni con i suoi piani nucleari». Anche Israele affronta con cautela l’argomento, soprattutto per paura che gli iraniani abbiano spostato parte delle riserve di uranio altrove.

Mappa del programma nucleare iraniano (Wikimedia Commons)

Fordow – Circa 90 metri sotto la roccia della montagna vicino alla città sacra di Qom, l’impianto nucleare di Fordow è il più protetto tra quelli disseminati su tutto il territorio iraniano. Anche guardando le immagini satellitari, è difficile stabilire quali siano i danni inflitti alle almeno 2200 centrifughe nei suoi sotterranei che hanno permesso ai pasdaran l’arricchimento dell’uranio fino al 60%. Gli Stati Uniti sul sito hanno sganciato 12 bombe Gbu-57, quasi 14 tonnellate ciascuna: tre fori di entrata sono sul versante del monte, altri tre sul crinale. Gli americani hanno colpito con precisione due punti che, seguendo una pianta della struttura trovata nell’Archivio nucleare iraniano, corrisponderebbero ai condotti di ventilazione. Un video registrato dal sito poco dopo l’attacco mostra un incendio, ma poco dice su quanto sia rimasto nei cunicoli sotterranei rinforzati dagli iraniani con diversi strati di cemento armato. Secondo alcuni esperti militari, le bombe non hanno colpito  le parti più profonde dell’impianto, ma l’onda d’urto potrebbe essere bastata a rovinare le centrifughe. Secondo l’Aiea, il sistema di alimentazione elettrico di Fordow in questo momento è fuori uso, con conseguenti danni irrimediabili per gli apparecchi.

Natanz e Isfahan – Altre due bombe bunker-buster e una trentina di missili hanno colpito il centro di Natanz, che ospita più centrifughe di Fordow (almeno 10mila), ma è anche più vecchio. Già danneggiato dagli attacchi israeliani sia in superficie che nei tunnel, è dal 16 giugno che per l’Aiea il suo quadro elettrico, e quindi le sue centrifughe, risultano compromesse. Gli americani avrebbero mirato alle sale sotterranee di arricchimento dell’uranio con le bombe e alle palazzine esterne con i Tomahawk. Isfahan, invece, è considerato il cervello del programma nucleare degli ayatollah: le gallerie e gli edifici del centro di ricerca sono stati colpito da una dozzina di missili da crociera.

I camion fuori da Fordow – Alcune immagini satellitari fornite da Maxar Technologies, mostrano che tra il 19 e il 20 giugno 16 camion si sono ammassati all’ingresso del sito di Fordow. Questo, secondo l’analisi dell’Open Source Centre di Londra, suggerisce che l’Iran potrebbe essersi preparato all’attacco Usa trasferendo altrove il materiale custodito nella montagna. Il regime sostiene di aver evacuato i siti ben prima dei raid: «L’uranio arricchito è stato spostato dai centri nucleari», ha dichiarato Hassan Abedini, vicecapo politico della tv di Stato iraniana. Il capo dell’Agenzia atomica iraniana, Mohammad Eslami, ha invece affermato che ci sarebbe un altro sito «segreto e invulnerabile» nel Paese in cui potrebbe proseguire il programma nucleare. Anche se l’agenzia iraniana Mehr sostiene che l’uranio arricchito di Fordow sia stato effettivamente portato via, rimane comunque improbabile che sia stato sicuro trasportarlo su semplici tir. «L’Iran non ha mai nascosto di aver protetto il suo materiale», aveva però ricordato Rafael Grossi intervistato dalla Cnn. Il direttore dell’Aiea ha poi confermato al New York Times di ritenere che il materiale conservato a Isfahan sia stato effettivamente spostato dagli iraniani: a contenere l’uranio sarebbero degli speciali barili, compatti abbastanza da entrare nei bagagliai di una decina d’auto.