Sono stabili le condizioni dei cinque soldati italiani rimasti feriti domenica mattina in un attentato esplosivo nel nord dell’Iraq. La deflagrazione è avvenuta intorno alle 11 locali, durante il passaggio del convoglio di mezzi militari di ritorno da una missione di addestramento. Probabile la matrice islamista, anche se va chiarito quale fazione o gruppo abbia organizzato l’attacco. Sconosciuta anche la posizione precisa dell’esplosione, avvenuto comunque tra le montagne di Hamrin, a Kirkuk, a pochi chilometri dall’area curda del Paese.

I soldati – La Difesa ha reso pubblici i nomi dei soldati rimasti feriti: Marco Pisani, Paolo Piseddu, Andrea Quarto, Emanuele Valenza e Michele Tedesco. Tre di loro appartengono al nono reggimento paracadutisti Col Moschin dell’Esercito, gli altri due al Gruppo incursori Comsubin della Marina. I soldati fanno parte della sezione italiana che compone la Task Force 44, una divisione che addestra l’esercito regolare iracheno impegnato nella lotta all’Isis. I cinque militari sono rimasti tutti feriti e subito dopo l’attacco sono stati trasportati da un elicottero americano della coalizione verso un vicino ospedale. Tre sono in condizioni gravi, ma non sarebbero in pericolo di vita: hanno subìto lesioni interne e agli arti inferiori, mentre per uno di loro è stata necessaria l’amputazione di una gamba. Stando alle dichiarazioni del ministro della Difesa Lorenzo Guerini a RaiNews24, «le famiglie sono state avvisate e sono stati prontamente messi al corrente dell’attentato sia il capo dello Stato Sergio Mattarella che il primo ministro Giuseppe Conte, oltre al capo dello Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli, che segue con attenzione l’evolversi della vicenda».

Il contesto – L’esplosione è stata provocata da un Ied (Improvised Explosive Device), ovvero un ordigno rudimentale. La detonazione è stata però sufficiente a far saltare il lince su cui viaggiavano i soldati operanti nella missione “Prima Parthica”, parte di quella internazionale “Inherent Resolve” che addestra gli iracheni per contrastare l’Isis. Proprio lo Stato Islamico è al centro di gran parte delle azioni della coalizione in tutto l’Iraq. Dopo l’avanzata turca nel nord del Paese e la scomparsa di Al Baghdadi, le cellule rimaste dell’Isis stanno cercando di risollevarsi e nuovi gruppi estremisti provano ad affermarsi sfruttando l’instabilità del Paese. Nell’area di Kirkuk sono avvenuti oltre 30 attacchi in meno di quindici giorni e gli organismi di intelligence hanno rilevato un aumento di attività terroristica, dove lo stesso Isis ha messo a segno un trentina di attacchi da inizio ottobre.

Le reazioni –  L’attentato che ha coinvolto gli italiani, inoltre, ha riaperto la questione della sicurezza dei mezzi e degli strumenti a disposizione dei soldati impegnati in aree di conflitto bellico. Il riferimento è, in particolare, ai blindati lince attualmente in dotazione all’Esercito, privi di una copertura nella parte inferiore della scocca (per motivi di peso) e perciò vulnerabili a ordigni terrestri. «Non esiste una contromisura che garantisca la sicurezza assoluta – ha commentato l’ex-comandante della Folgore e del contingente italiano in Afghanistan, Marco Bertolini – I militari che operano sul campo sono persone preparate, che sanno quello che fanno e lo fanno con passione, ma ci sono dei rischi». A poche ore dal 16esimo anniversario della strage di Nassiriya del 2003, dove morirono 19 italiani in un attacco kamikaze, l’impegno delle truppe italiane in Medioriente è tornato al centro di polemiche. Dopo le parole di solidarietà e vicinanza, come quelle del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che si è detto «in apprensione per quanto accaduto e vicino alle famiglie», nel corso delle ore successive all’attacco sono arrivate anche le dichiarazioni del sindacato dei militari, fortemente critico rispetto all’impegno militare in Iraq.«È ora di ritirare tutti i contingenti militari italiani dalle missioni all’estero perché l’impegno delle forze armate, in questo modo, è chiaramente contrario all’articolo 11 della Costituzione – spiegano i vertici sindacali in un nota – Esprimiamo vicinanza ai colleghi feriti e alle loro famiglie, ma non possiamo tacere di fronte all’ipocrisia di chi rappresenta le istituzioni e continua a definire la guerra combattuta dai nostri soldati all’estero come “missioni di pace”».