Trenta miliziani di Al Nusra uccisi due giorni fa in Siria dai jet della portaerei russa ‘Ammiraglio Kuznetsov’. Tra i morti ci sarebbero anche alcuni dei comandanti del gruppo: Mohammad Helala, Abu Jaber Harmuja e Abul Baha Al-Asfari. L’ultimo sarebbe il responsabile della riunificazione e del coordinamento delle forze rimaste in campo – almeno tra i territori di Hama e Aleppo – ai mujaheddin siriani a maggioranza sunnita il cui nome significa ‘Partigiani del soccorso del popolo della grande Siria’. A dirlo è Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, descrivendo i risultati di un reid aereo compiuto da caccia Su-33 sulla provincia siriana di Idlib.

russian_aircraft_carrier_kuznetsovLa Russia sta sconfigggendo lo Stato islamico? E’ presto per dirlo ma certo questo successo di Mosca potrebbe rafforzare ulteriormente l’asse politico Usa-Russia tanto invocato da Donald Trump in campagna elettorale e inaugurato recentemente con una telefonata tra il tycoon e il presidente Putin. Oggetto della conversazione è stato l’intenzione bipartisan di «normalizzare i rapporti tra i due Stati, finora insoddisfacenti, al fine di una collaborazione costruttiva» dove l’obiettivo primario è cacciare l’Isis. Trump è disposto ad appoggiare il regime di Bashar Al Assad pur di allontanare la minaccia dell’autoproclamato Stato Islamico. Questa apertura gli è valsa, nei giorni scorsi, un parziale endorsement da parte dell’Iran, dove il presidente del Parlamento Ali Larijani ha invitato i leader internazionali ad «esser più maturi e non esprimere dichiarazioni affrettate» nei confronti del nuovo inquilino della Casa Bianca. Anche il leader turco Erdogan ha dimostrato attenzione nei confronti del 45esimo presidente degli Stati Uniti, auspicando un incontro con lui «anche prima del 20 gennaio».  Le prime conseguenze dell’era Trump potranno quindi concretizzarsi nello stop di supporto statunitense ai ribelli moderati di Aleppo e alle forze curde, al momento impegnate nella lotta armata all’Isis ma invise al governo turco.

Sul fronte europeo le istituzioni si dimostrano decisamente più fredde verso Trump e i suoi progetti di politica estera. Nel frattempo arriva dalla Germania la notizia che tra il luglio 2015 e il luglio di quest’anno è diminuito drasticamente il numero di foreign fighters – letteralmente ‘combattenti stranieri’, definizione di chi dall’Europa decide di unirsi alle fila dei soldati dell’autoproclamato Stato Islamico – di nazionalità tedesca in partenza verso la Siria o l’Iraq. Solo 4 o 5 persone ogni mese, contro flussi che nel 2014 contavano fino a cento persone al mese. Ne parla il quotidiano di Monaco Suddentsche Zeitug citando la Verfassungsschutz, il servizio di sicurezza interna tedesco. Holger Muenk, presidente della polizia federale di Magonza, commenta la situazione precisando però che la diminuzione dei foreign fighters, pur auspicabile, non coincide necessariamente con una diminuzione dei rischi legati al terrorismo. I simpatizzanti occidentali dell’Isis, infatti, sono stati invitati dai capi del Daesh a non tentare di raggiungere la Siria ma compiere piuttosto «attentati semplici, anche con piccoli mezzi» nei loro territori d’origine.