Con l’attenzione e le risorse dei governi e delle forze dell’ordine rivolte ad affrontare la lunga pandemia di coronavirus, le cellule jihadiste sopravvissute al crollo dello Stato Islamico ne approfittano per sferrare nuovi attacchi terroristici in Iraq, contro le milizie sciite Hashd al-Shabi, e in Siria. «È una minaccia reale – ha dichiarato Qubad Talabani, vice primo ministro della regione curda settentrionale dell’Iraq – Si stanno mobilitando e presto inizieranno a colpire Baghdad».

Nuova offensiva – Il gruppo, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, starebbe tornando in scena dopo che il suo califfato, che un tempo comprendeva un terzo di Iraq e Siria, era stato abbattuto l’anno scorso. Gli ultimi attacchi non sono casi isolati, ma fanno parte di una nuova strategia offensiva, più intensa e strutturata, contro le milizie sciite Hashd el Shabi, ovvero le Unità di mobilitazione popolare finanziate dall’Iran e integrate tra le forze armate irachene. Secondo i rapporti dell’intelligence irachena, il numero dei combattenti Isis presenti in Iraq si aggira intorno alle 2.500 – 3.000 unità. Circa 500 arrivano direttamente dalla Siria, tra cui alcuni fuggiti dal carcere.

I fattori di debolezza – A rendere più facili gli attacchi c’è il fatto che il numero del personale militare iracheno in servizio, affermano i funzionari militari, è diminuito del 50% a causa delle misure di prevenzione per il Covid-19. A questo si aggiungono le dispute territoriali tra Baghdad e le autorità della zona di autonomia curda settentrionale, che di fatto hanno lasciato zone di tre province diverse senza forze dell’ordine. Da ultimo il ritiro delle truppe della coalizione guidata dagli Stati Uniti dalle basi situate nelle province dell’Iraq occidentali, in linea con una diminuzione degli attacchi registrata a dicembre.

Un nuovo leader – «Prima dell’emergere del virus e del ritiro americano le operazioni erano trascurabili – ha dichiarato un funzionario dell’intelligence che ha preferito restare anonimo – Si contava solo un’operazione a settimana». Ora, invece, le forze di sicurezza registrano una media di venti operazioni al mese. L’intensificarsi degli attacchi, secondo alcuni, potrebbe dipendere anche dalla necessità di consolidare il potere di Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi, il nuovo leader dell’Isis dopo Abu Bakr al-Baghdadi, ucciso in un raid americano nell’ottobre dello scorso anno.