Troppi ostaggi, troppe esecuzioni, troppi cittadini americani uccisi barbaramente ed esposti online dagli estremisti dell’ISIS. Per tutto questo il presidente americano Barack Obama ha ordinato una revisione “da cima a fondo” del protocollo dei negoziati per la liberazione degli ostaggi americani caduti in mano a gruppi terroristici all’estero. La riforma si concentrerà in particolare “sull’impegno delle famiglie, sui dati dell’intelligence e sulle politiche di impegno diplomatico”.
Meno burocrazia e più leadership. Migliore coordinamento tra le varie agenzie e tra la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e l’FBI. E soluzioni alternative per liberare gli americani presi in ostaggio. Fino a facilitare il pagamento dei riscatti, rivela il quotidiano Daily Beast. Sono questi i punti della lettera inviata da Christine Wormuth, sottosegretario della Politica di difesa del Pentagono, al repubblicano Duncan Hunter, presidente della Commissione dei servizi armati della Camera. L’obiettivo è quello di “rafforzare l’approccio del governo, a causa della maggiore frequenza di cattura di ostaggi americani all’estero”.
Obama è da tempo sotto pressione per la questione dei cittadini americani catturati dall’ISIS. Solo domenica è stato diffuso l’ultimo video dove i militanti dello Stato islamico decapitano l’operatore umanitario Peter Kassig. Nelle mani dei jihadisti si trova attualmente un altro ostaggio americano, una donna di 26 anni, rapita in Siria lo scorso anno mentre consegnava aiuti alla popolazione afflitta dalla guerra civile.
Dalla partita di golf giocata nel resort di Martha’s Vineyard, subito dopo la pubblicazione del primo video della decapitazione del giornalista James Foley in agosto, Obama è stato al centro di critiche da diversi fronti per la sua gestione degli ostaggi rapiti dall’ISIS. I genitori degli americani decapitati dai jihadisti hanno detto che la Casa Bianca ha minacciato di perseguirli sul piano legale se avessero tentato di pagare un riscatto. Avevano informazioni sul luogo dove potevano essere tenuti prigionieri i loro figli – dicono – ma non sono stati ascoltati.
Alessia Albertin