After historic victories against ISIS, it’s time to bring our great young people home! pic.twitter.com/xoNjFzQFTp
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) December 19, 2018
L’America si ritira dalla Siria. “We won, it’s time to come back”, questo l’annuncio via Twitter del presidente degli Stati Uniti Donald Trump pubblicato ieri pomeriggio, mercoledì 19 dicembre. Sono duemila i militari americani attualmente presenti sul territorio siriano, devastato da una guerra civile che dura da otto anni. Secondo il programma della Casa Bianca, i militari dovrebbero rientrare in patria entro 100 giorni. Putin è d’accordo, il Pentagono si oppone.
Le reazioni – Riportare a casa «i ragazzi» non è stata una decisione improvvisa da parte di Trump. In realtà il presidente aveva già espresso il desiderio di ritirare le truppe durante la sua campagna elettorale nel 2016. L’incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a margine del G20, svoltosi a Buenos Aires a inizio mese, è stato cruciale per la realizzazione del suo progetto. La Turchia infatti è pronta a difendere i propri confini e a limitare la presenza curda nella regione siriana. I combattenti di etnia curda sono tra i principali avversari dello Stato islamico, e gli american, che li appoggiano, si trovano esattamente nella stessa area a nord di Raqqa. Dura la reaziione dell’YPG, l’ala militare del movimento curdo che guida la coalizione delle forse siriane democratiche (Sdf). Da Beirut una radio vicina alle loro posizioni ha definito la mossa americana «un tradimento del sangue versato dai combattenti». In un comunicato di questa mattina i vertici del Sdf hanno affermato che “lo stato islamico non è stato sconfitto” e la scelta degli Stati Uniti è stata prematura. Preoccupato anche l’ex ministro della difesa di Israele Avigdor Lieberman: “Il ritiro accresce in maniera significativa la possibilità di un conflitto totale al nord: sia in Libano sia in Siria”.
Negli States – “La brusca e caotica mossa”, come l’ha definita il New York Times, ha generato immediatamente una risposta contraria nel Pentagono. Il segretario alla Difesa, James Mattis non condivide la scelta del presidente, che ha bollato come un errore “geo-strategico”. La posizione della Siria è fondamentale per la stabilizzazione del Medio Oriente e la potenza della Russia (che sostiene il regime di Damasco) è in crescita, perciò va arginata da ogni angolazione. Dall’altra parte, i sostenitori di Trump alla Casa Bianca credono che la priorità al momento sia quella di rivitalizzare il rapporto con l’Arabia Saudita e mantenere buoni i rapporti con la Turchia. Anche fra i repubblicani ci sono state delle proteste: il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham ha detto che Trump è stato «accecato», mentre per Nancy Pelosi, leader dei democratici, la decisione del presidente è dettata da suoi interessi politici e non è rivolta alla sicurezza nazionale.
La guerra è finita? – Stati Uniti e Russia vanno a braccetto: entrambi sono convinti che i colpi inflitti al califfato nero siano stati considerevoli e che Daesh sia stato vinto. «La presenza dei soldati americani in Siria non è necessaria» ha sottolineato il presidente russo Vladimir Putin che, comè ovvio, non vede di buon occhio una massiccia presenza militare in un’area di interesse strategico per Mosca. Mentre il ministro francese per gli affari esteri Nathalie Loiseau ha chiarito che la Francia resta militarmente impegnata in Siria: «La lotta al terrorismo non è finita», soprattutto dopo Strasburgo.
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