A 5 giorni dall’apertura dei seggi per le elezioni parlamentari del 9 aprile, in Israele prevale l’incertezza. «Questa volta non sappiamo cosa succederà. Il punto fondamentale è chi riuscirà a formare una coalizione in parlamento, non chi otterrà la maggior parte dei voti», ha detto Rajel Leghziel coordinatrice dell’associazione Jerusalem Press club, un centro che coopera con giornalisti esteri. Secondo l’ultimo sondaggio del giornale Haaretz, il Likud, partito del primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu, sarebbe davanti a Kahol Lavan, l’alleanza bianco-blu guidata dall’ex capo dell’esercito Benjamin Gantz. La coalizione di destra guidata dal primo ministro uscente otterrebbe 67 seggi su 120 al Knesset, il parlamento israeliano. Ma molti osservatori non concordano e si aspettano sorprese.
Un referendum su Bibi – La campagna elettorale in Israele prosegue ma è stata personalizzata in seguito alle indagini di corruzione contro Netanyahu. Poco prima delle elezioni Gantz, principale avversario del premier, ha unito il suo partito, Israel resilience, con altre due formazioni: Telem fuoriuscito dal Likud e guidato dall’ex ministro della difesa Moshe Ya’alon e Yesh Atid guidato dal giornalista e politico Yair Lapid. Non è un caso che tra i bianco-bu spicchino gli ex militari: dopo anni di guerre ininterrotte la società israeliana “si fida soprattutto del suo esercito», sottolinea Leghziel. I programmi dei partiti politici sono generici: «Non si tratta di una differenza tra destra e sinistra. Non c’è più ideologia, tutta la campagna elettorale si concentra sulle accuse corruzione al primo ministro». In poche parole si gioca tutto sul futuro politico del premier uscente. Gli elettori di Gantz sono stanchi di Netanyahu, ma il manifesto della coalizione riunita dall’ex militare non ha un programma chiaro.
Non si parla di Palestina – Grande assente in campagna elettorale è la questione palestinese, al centro dei precedenti round elettorali. «Abbiamo analizzato i social media, nei discorsi dei politici non c’è traccia della Palestina», secondo Leghziel. «Gaza è sempre un tema importante anche se la situazione è stabile. Nel sud, al confine, ci sono scontri continui e gli agricoltori di quella zona affrontano quotidianamente incendi provocati da bombe incendiarie».
Non solo Gaza, sotto silenzio passa anche la Cisgiordania. I più oltranzisti del Likud vorrebbero l’annessione, Netanyahu tace e Gantz non affronta l’argomento. Il presidente Trump ha detto di avere un piano sulla questione palestinese e ne discuterà con il prossimo primo ministro. Jared Kushner, in visita in Arabia Saudita lo scorso febbraio, aveva parlato di un programma che riguarderà la sicurezza e i confini. Non si conoscono i dettagli del progetto ma tra le possibilità potrebbe prepararsi l’annessione della Cisgiordania o la costituzione di una confederazione.
Paura di cambiare – La società israeliana sembra essere divisa perché «Gli elettori sono spaventati dal cambiamento. Soprattutto i giovani e le nuove generazioni di immigrati sono indecisi», dice Leghziel. I partiti minoritari cercano di spostare l’attenzione su questioni legate al welfare, alla sanità e all’economia: nonostante il costo alto della vita, Israele ha bassi livelli di disoccupazione e inflazione assente. Ma l’interesse fondamentale per la maggior parte degli elettori resta il destino di Bibi Netanyahu e della leadership del Paese.