Benjamin Netanyahu (foto/Ansa)

Dopo 12 anni in carica sembra sia arrivato il tempo dei saluti. Ma Benjamin Netanyahu, primo ministro dal 2009, non ci sta e si scaglia contro la maxi-coalizione nata per escluderlo dal potere. I due leader di opposizione Naftali Bennett e Yair Lapid hanno trovato l’intesa che potrebbe assicurar loro la maggioranza in parlamento: un governo di unità nazionale che coinvolga destra, sinistra e centro. A rimanere fuori sarebbero solo Bibi, come l’ex premier viene spesso chiamato, Likud, il suo partito, e le forze politiche arabe.

Il nuovo corso – Sarà la coalizione «del cambiamento». Così si definisce la neonata alleanza «per far uscire Israele dalla voragine» di nuove elezioni, le quinte in due anni e mezzo. L’intesa mette insieme la destra nazionalista composta da Yamina, il partito dei coloni di Naftali Bennet e da Nuova Speranza di Gideon Sa’ar (ex membro del partito di Netanyahu); il centro rappresentato da Yair Lapid e Benny Gantz (Blu Bianco); la sinistra dei laburisti e del partito socialdemocratico Meretz. L’accordo prevede che i leader della coalizione si alternino nelle posizioni di potere durante i quattro anni di mandato: Bennett sarà primo ministro e Lapid il suo vice e ministro degli Esteri per i primi due anni, per poi darsi il cambio.

Le reazioni – Rabbiosa la reazione di Benjamin Netanyahu, che vede sempre più reale la fine del suo secondo, lungo, mandato (il primo fu nel 1996 e durò tre anni). «È la truffa del secolo – ha accusato riferendosi alla coalizione – gli israeliani volevano me». In due milioni e mezzo l’hanno votato nelle ultime elezioni dello scorso marzo. Non abbastanza per ottenere una maggioranza assoluta. «Il governo della sinistra rappresenta un pericolo per Israele», ha attaccato. Immediata la risposta di Bennett: «Non solo non è un governo di sinistra, ma sarà più spostato a destra di quello attuale. Non faremo ritiri e non consegneremo territori». Ma l’ex-premier rincara: senza di lui, sostiene, il Paese perderà credibilità agli occhi degli Stati Uniti e nessuno lo saprà difendere da Hamas o dall’Iran. Per Bibi la coalizione è ancora più difficile da digerire perché pensata da Bennett, ritenuto il suo “figlio ideologico”. Il leader di Yamina, infatti, ha lavorato con Netanyahu tra il 2006 e il 2008 e a lui si è ispirato nella costruire la propria carriera politica. Tanto da chiamare il figlio Yomi, come il fratello di Bibi ucciso durante un’operazione militare in Uganda.

I prossimi passi – La coalizione può contare per ora su 57 deputati dei 61 necessari ad assicurare la maggioranza. I numeri potrebbero essere sufficienti se i partiti arabi si astenessero dal voto di fiducia. Lapid e Bennett sono già al lavoro per definire i contorni del governo di unità nazionale: delegazioni dei due partiti si sono incontrare ieri sera. Entro il 2 giugno Lapid deve formare il nuovo esecutivo, ma già domani potrebbe sciogliere la riserva e presentarsi davanti al capo dello Stato Reuven Rivlin. Toccherà poi al presidente della Knesset, Yariv Levin, convocare la seduta per il voto al nuovo governo. Rivlin, in ogni caso, non parteciperà al possibile insediamento: il 2 giugno scade il suo mandato e sarà il nuovo capo dello Stato a sancire o meno la fine del dominio indiscusso di Netanyahu.