EPA/HAITHAM IMAD

Non solo razzi: quella tra Israele e Hamas è diventata anche la guerra delle news, fake o verificate che siano. Dopo l’annuncio del 13 maggio dell’offensiva via terra da parte delle Tsahal (le truppe dello Stato ebraico, ndr) e il clamoroso dietrofront, nella notte di domenica Israele ha deciso di rilanciare: l’aviazione ha bombardato il Burj – Al Jalaa, dodici piani in pieno centro di Gaza City. «Ospitava risorse di Hamas», la giustificazione del premier Benjamin Netanyhau. Il palazzo, oltre a contenere quaranta appartamenti di civili e numerosi uffici commerciali, era anche la sede di corrispondenza di molti media locali e stranieri: da Al-Jazeera ad Associated Press, oltre a varie testate locali e ai server internet che reggono gran parte dell’informazione dalla Striscia. Che ora resterà al buio, non solo metaforicamente: numerosi i blackout nella zona, a causa del danneggiamento di diversi cavi elettrici. Si tratta del quarto palazzo abbattuto dall’esercito israeliano nei territori palestinesi dall’inizio dell’escalation.

L’attacco – Meno di un’ora di preavviso, poi il raid alla torre dei media: Jawad Mehdi, proprietario dell’edificio, ha ricevuto l’ordine di evacuazione dall’intelligence israeliana e la sua richiesta di avere più tempo, anche solo pochi minuti, è stata respinta. L’ultimatum stringente ha quindi impedito ai reporter di mettere in salvo materiale e attrezzature. I dodici giornalisti presenti – in questo momento tutti locali, perché l’esercito non lascia entrare media stranieri dal valico di Erez – hanno avuto solo pochi minuti per tentare di salvare gli archivi e portare fuori i documenti accumulati in anni di conflitti. «Siamo scioccati e inorriditi», ha commentato Gary Pruit, presidente di Associated Press. «Siamo costretti a lavorare dall’ospedale. Abbiamo evitato per un soffio la perdita di vite umane ma adesso il mondo saprà molto meno di quello che sta succedendo a Gaza». Mostafa Souag, direttore di Al Jazeera, ha definito il bombardamento un atto «barbarico» e ha accusato Israele di «nascondere la carneficina e la sofferenza».

Netanyahu: «Attacco legittimo» – Ospite del programma Face the Nation della CBS, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito «perfettamente legittimo» l’attacco. Secondo il leader del Likud, la torre ospitava l’ufficio di intelligence di un non meglio precisato gruppo “terrorista” palestinese: il premier ha quindi aggiunto che le informazioni sull’attacco avvenuto il 15 maggio erano state condivise con gli Stati Uniti. Proprio la Casa Bianca in una nota ufficiale ha però comunicato a Israele che «garantire la sicurezza e l’incolumità dei giornalisti e dei media indipendenti è una responsabilità fondamentale». Più esplicito il portavoce delle forze armate, Jonathan Cornicus: «Hamas ha trasformato zone residenziali a Gaza in postazioni militari. Utilizza edifici elevati a Gaza per operazioni di vario genere come la raccolta di informazioni di intelligence, la progettazione di attacchi, atti di comando, controllo e per le comunicazioni». Nessun riferimento alla stampa internazionale: Il portavoce si è limitato ad affermare che «l’aviazione israeliana ha avuto cura di non colpire civili, “ricorrendo a messaggi sms” e “colpendo preventivamente il tetto” dell’edificio con un primo attacco di avvertimento: questo fa rumore e non danni e lascia tempo a sufficienza per abbandonare la torre». Non solo: «Quando Hamas utilizza un edificio elevato per fini militari, esso diventa un obiettivo militare legittimo. Il diritto internazionale è chiaro. Nel palazzo si nascondevano gli uomini dei servizi segreti militari di Hamas. Speravano che mettendosi tra i giornalisti avremmo esitato a colpire».

La guerra delle news – La gestione delle notizie rappresenta un obiettivo particolarmente sensibile nei casi di conflitti o di rovesciamenti di regimi: «Chi controlla i mezzi di comunicazione controlla lo Stato», teorizzava già nel 1931 Curzio Malaparte. Nel caso di Israele e Hamas sembra che ci si sia spinti oltre, dando vita a un’escalation fatta di messaggi subliminali e diversivi: «Abbiamo invaso la striscia di Gaza», ha comunicato l’esercito israeliano nella tarda serata del 14 maggio, salvo annunciare il dietrofront poche ore dopo. Quello che sulle prime è sembrato un (clamoroso) errore di comunicazione si è poi compreso rispondere a un obiettivo ben preciso: stanare i miliziani palestinesi asserragliati nei cunicoli della Gaza sotterranea, usciti allo scoperto per fronteggiare l’attacco imminente. Convinti che i tank stessero arrivando, gli uomini di Hamas hanno montato nelle piazzole mortai e di lanciatori per i missili controcarro Kornet: gli strumenti più efficaci a disposizione delle forze palestinesi per contrastare l’avanzata dei mezzi corazzati. Ma le brigate israeliane non hanno mai superato la frontiera. Invece droni e satelliti hanno individuato in tempo reale ogni postazione che veniva allestita nella Striscia di Gaza.