Le forze di sicurezza israeliane hanno recuperato i corpi di due ostaggi: Judih Weinstein Haggai (70 anni) e Gad Haggai (72), una coppia residente nel kibbutz di Nir Oz. I due, entrambi con cittadinanza sia israeliana che americana, la mattina del 7 ottobre stavano facendo una passeggiata di prima mattina nei campi vicino casa quando sono stati uccisi e rapiti dai miliziani di Hamas. Le autorità israeliane avevano già dichiarato la loro morte nel dicembre 2023. A detenere le due salme era il gruppo Mujahideen Brigades, lo stesso responsabile del rapimento della famiglia Bibas. Sono stati trovati nei pressi della città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, con un’operazione speciale congiunta tra l’esercito (Idf) e lo Shin Bet, l’agenzia di sicurezza interna israeliana. Il premier Benjamin Netanyahu ha ringraziato «combattenti e comandanti per la loro esecuzione determinata e riuscita», aggiungendo che «non ci fermeremo né resteremo in silenzio finché non riporteremo a casa tutti i nostri ostaggi, sia i vivi che i caduti». Al momento restano 56 i prigionieri ancora nelle mani dei miliziani: l’Idf afferma che 33 sono deceduti, 20 quelli considerati ancora in vita. I familiari di Weinstein e Haggai hanno dichiarato che «i nostri cuori non saranno colmi fino a quando tutti gli ostaggi non torneranno a casa».
Nella Striscia – Intanto prosegue l’offensiva nell’enclave palestinese: secondo la Protezione Civile gazawa sono almeno 10 le vittime degli ultimi raid israeliani che hanno colpito le zone di Gaza City, Deir el-Balah e Khan Younis. Secondo Al Jazeera, sarebbero invece 23 le vittime registrare dall’alba di giovedì 5 giugno dagli ospedali della Striscia. La stessa emittente qatariota riporta di un attacco israeliano con un drone sull’ospedale al-Ahli di Gaza City, in cui sarebbero morte almeno 4 persone, tra cui 3 giornalisti. Il giorno prima le vittime dei bombardamenti sono state 48, 12 in un singolo attacco a un accampamento di tende per sfollati vicino alla scuola al-Innawi, a ovest di Khan Younis.

L’ospedale Al Ahli dopo un attacco israeliano a Gaza City il 13 aprile 2025
Il veto Usa – Mercoledì 4 giugno gli Stati Uniti hanno usato il loro potere di veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui si chiedeva «un immediato, incondizionato e permanente cessate il fuoco» nella Striscia. Gli altri 14 Paesi membri hanno invece votato a favore. È il quinto veto esercitato da Washington sul tema: la Casa Bianca ha dichiarato che il testo è stato bloccato perché non includeva una richiesta di rilascio degli ostaggi da parte di Hamas e di disarmo dell’organizzazione islamista. Per il segretario di stato Usa Marco Rubio la risoluzione sarebbe stata «controproducente» e «mirata contro Israele».
Aiuti umanitari – Oltre alla fine delle ostilità, il testo passato per il Consiglio di Sicurezza chiedeva anche la fine delle restrizioni agli ingressi degli aiuti nella Striscia, da distribuire «in sicurezza e senza ostacoli anche dalle Nazioni Unite e dai partner umanitari». Lo stesso giorno del voto Onu, la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), società israelo-americana che appalta la sicurezza a contractor privati, ha chiuso i suoi centri nell’enclave palestinese. Anche la mattina di giovedì 5 gli hub, tra i pochissimi attivi nella Striscia, sono rimasti inutilizzati: per «lavori di ristrutturazione e riorganizzazione», recita una nota dell’organizzazione. L’Idf ha avvertito i gazawi che i percorsi diretti ai centri sono considerate zone di combattimento a cui i civili non devono avvicinarsi. La chiusura arriva dopo che martedì 3 l’esercito israeliano ha ammesso di aver aperto il fuoco sulle persone vicine al punto di distribuzione di Rafah. Secondo il ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas, le vittime di quello scontro sono state almeno 27.

Palestinesi sfollati dopo un ordine di allontanamento emanato da Israele
Netanyahu in bilico – Benjamin Netanyahu non deve solo far fronte alle crescenti pressioni internazionali per porre fine alla guerra e alla carestia nella Striscia, ma anche ai problemi interni alla sua coalizione di governo. Il partito Ebraismo Unito della Torah, una delle due formazioni ultraortodosse al governo, si ritirerà dall’esecutivo se non verrà resa legge l’esenzione degli studiosi haredim di Torah e Talmud dal servizio di leva obbligatorio. Lo ha rivelato all’agenzia Reuters un portavoce del rabbino Yitzhak Goldknopf, leader del partito religioso ashkenazita e ministro delle Costruzioni e dell’Edilizia. A far tremare il governo Netanyahu potrebbe essere il disegno di legge promosso dall’opposizione che chiede lo scioglimento della Knesset, il parlamento israeliano. A schierarsi per la fine anticipata della legislatura sono il partito centrista Yesh Atid dell’ex premier Yair Lapid, la destra anti-Netanyahu di Yisrael Beytenu e la sinistra dei Democratici del militare Yair Golan. Per far passare la richiesta serve il sostegno di 61 dei 120 membri dell’assemblea. Il governo di “Bibi” conta 62 seggi: se venisse a mancare il sostegno ultraortodosso la crisi interna rimandata con mesi di guerra diventerebbe realtà.