Tutti contro Bibi. Da una parte le folle di manifestanti che dopo un weekend di proteste hanno fatto irruzione alla Knesset, il Parlamento di Israele, denunciando il governo per la mancata liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas. Dall’altra i laburisti pronti a presentare una mozione di sfiducia contro l’esecutivo. È sempre più fragile il consenso per la leadership di Benjamin “Bibi” Netanyahu a oltre tre mesi dallo scoppio della guerra nella Striscia di Gaza dopo il masssacro del 7 ottobre a opera di Hamas. In casa come sul piano internazionale. Nella mattina di lunedì 22 gennaio l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, ha definito «inaccettabile» il rifiuto del premier israeliano alla soluzione dei due Stati come via di uscita dal conflitto, mentre la presidenza belga dell’Ue ha chiesto «il cessate il fuoco immediato a Gaza e la fine della violenza in Cisgiordania». Intanto il bombardamento della Striscia prosegue con l’esercito di difesa israeliano che stringe su Khan Younis e il ministero della Sanità di Gaza che ha aggiornato a oltre 25mila il bilancio dei morti dall’inizio del conflitto.

Caos alla Knesset –  «Non si può avere fiducia in un governo che non fa degli ostaggi una priorità». Questa la motivazione dietro la mozione di sfiducia che il partito laburista isareliano presenterà in giornata contro il gabinetto da Netanyahu. Il partito guidato da Merav Michaeli ha parlato di «un governo che si preoccupa dei propri interessi corrotti e non di chi dà la propria vita per lo Stato» e ha chiesto al partito di opposizione Yes Atid (24 seggi alla Knesset) di appoggiare la mozione. Nonostante i laburisti detengano solamente 4 seggi contro i 64 della maggioranza guidata da Netanyahu la mozione di sfiducia, la prima dall’inizio della guerra, arriva in un momento di particolare tensione per la leadership del premier israeliano. Il nodo degli ostaggi resta critico per il consenso all’esecutivo. Nelle ultime 24 ore gruppi di manifestanti si sono radunati di fronte alla residenza del premier a Gerusalemme e di fronte alla Knesset, denunciando «l’abbandono degli ostaggi» e chiedendo nuove elezioni. Decine di parenti degli ostaggi hanno fatto irruzione in una riunione della Commissione Finanze urlando «non vi siederete qui mentre stanno morendo lì» e chiedendo le dimissioni del primo ministro. Sono ancora 130 i prigionieri ebrei nella Striscia e lo scorso sabato Netanyahu ha nuovamente respinto le condizioni del gruppo armato palestinese per il loro rilascio: fine della guerra, ritiro delle truppe israeliane da Gaza e la liberazione di palestinesi detenuti in Israele.

Pressioni internazionali –  L’insoddisfazione monta anche sul piano internazionale. Le parole più forti contro Israele arrivano dall’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, che in occasione del Consiglio Esteri dell’Unione ha criticato Netanyahu per avere rigettato la soluzione dei due Stati proposta dal presidente statunitense Joe Biden durante il bilaterale dello scorso sabato. «Qual è la loro soluzione? Cacciare la gente da Gaza? Ucciderli tutti?» ha detto Borrell, sottolineando che «Israele sta suscitando odio per generazioni» e che « alcuni ministri riconoscono che ci sono troppe vittime civili: ma la domanda è: quante vittime sono troppe?». Borrell ha poi dichiarato che d’ora in poi l’Ue lavorerà per la soluzione dei due Stati invece che per il «processo di pace». Al centro del piano europeo per la crisi in Medio Oriente c’è l’appello per una «conferenza preparatoria di pace» che sarà organizzata insieme a Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Lega degli Stati arabi e Stati Uniti. L’Ue sta provando a inserirsi nelle trattative e durante il Consiglio Esteri dell’Ue Bruxelles ha ospitato il ministro degli Esteri israeliano Katz e quello palestinese Riyadal-Maliki. Presente anche il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, che ha definito quella del governo israeliano «un’agenda politica razzista e radicale», e ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire contro il rifiuto al dialogo di Netanyahu.