Dopo 506 giorni di crisi politica, 3 elezioni e nessun vincitore certo, Israele avrà un governo. A guidarlo sarà ancora il leader del Likud Benjamin Netanyahu, 70 anni, il premier più longevo della storia del paese, che per i prossimi 18 mesi sarà alla guida dell’esecutivo e poi si scambierà il posto  con l’ex rivale Benny Gantz, leader del partito centrista Blu e bianco, nominato ministro della Difesa. Un’unione benedetta dal segretario di Stato americano Mike Pompeo, arrivato a Gerusalemme per discutere dell’annessione da parte di Israele della Valle del Giordano e di una porzione della Cisgiordania, dove sono già presenti alcuni insediamenti.

Il giuramento – «Vareremo il nuovo governo di unità nazionale e questa è una occasione per promuovere la pace e la sicurezza basandoci sulle intese raggiunte col presidente Trump». Così Netanyahu ha presentato il nuovo esecutivo che dovrebbe nascere nella notte del 14 maggio, giorno in cui 72 anni fa nacque il primo governo di Israele. Nelle mani del presidente della Repubblica Reuven Rivlin giureranno 36 ministri e 16 viceministri, quasi un record nella storia del Paese.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu saluta il segretario di Stato Usa Mike Pompeo

La discussione – La fine della crisi politica a Gerusalemme è stata salutata con favore da Washington, che sperava in una soluzione positiva per poter discutere del “piano di pace americano”, annunciato dal presidente Donald Trump il 28 gennaio. Una questione rallentata dalla pandemia di Coronavirus ma che nell’ultimo periodo sta subendo una decisa accelerazione. Sia il premier israeliano sia l’amministrazione statunitense credono sia il tempo di dare il via libera al piano, che dovrebbe partire il 1° luglio. In questo modo la comunità internazionale sarà messa di fronte al fatto compiuto e si eviterà un eventuale cambio di rotta se a novembre Trump dovesse perdere le elezioni presidenziali. Un tema molto importante per Netanyahu, che vorrebbe fare delle annessioni la sua eredità politica per l’avvenire, a prescindere dal processo contro di lui per corruzione, frode e abuso di ufficio che inizierà il 24 maggio. Al piano di pace americano però si oppongono sia l’Unione Europea, con Parigi che guida il fronte di chi vorrebbe sanzioni verso Israele nel caso di nuove annessioni, sia i Paesi islamici, come Iran, Turchia e Pakistan. I palestinesi hanno reagito ai piani di annessione americani e israeliani compattando il fronte che vede per la prima volta il partito Fatah del presidente Abu Mazen, Hamas e la Jihad islamica dalla stessa parte.

Gli altri temi- I colloqui tra Pompeo e Netanyahu non hanno riguardato solo la Cisgiordania. «Voi siete un grande partner: condividete le informazioni, al contrario di altri Paesi che hanno cercato di nascondere informazioni, e parleremo anche di quel Paese» sono state le parole del segretario di Stato Usa rivolte al premier israeliano. L’allusione alla Cina era evidente: infatti gli Stati Uniti rimangono preoccupati sull’accordo commerciale stretto da Gerusalemme con Pechino sullo sviluppo del porto di Haifa. Un tema però che non mina la convergenza tra i due Paesi, uniti soprattutto nel contrasto al comune nemico iraniano.