Arriva la conferma sullo spoglio delle elezioni israeliane. La coalizione di destra capitanata da Netanyahu otterrà 64 dei 120 seggi del parlamento, la Kesset, 4 in più di quelli necessari per avere la maggioranza. Nella classifica finale, Likud si attesta primo partito con 32 seggi, seguito con 24 seggi dal centrista e laico Yesh Atid. Vera sorpresa di queste elezioni è Sionismo Religioso, terzo partito con 14 seggi.
“Re Bibi” – Sono le tre del mattino di martedì 2 novembre quando una folla di sostenitori radunatasi al quartier generale del Likud acclama “Re Bibi, Re Bibi”. Benjamin “Bibi” Netanyahu, 73 anni, leader dal 2005 del partito nazionalista liberale di destra Likud, che in italiano si traduce come “consolidamento”, ha lasciato un’impronta nello sviluppo dello stato moderno di Israele durante i suoi due precedenti mandati da primo ministro, dal 1996 al 1999 e dal 2009 al 2021. È lui ad aver eliminato lo statalismo, favorito la start-up nation e tagliato parte delle sovvenzioni statali agli ultraortodossi. L’attuale intenzione di formare un governo pienamente di destra, appoggiato dal Partito Sionista Religioso e dalle due formazioni ultraortodosse, segna una netta cesura rispetto a quella modernità da lui stesso coltivata, come ha sottolineato più volte lo scrittore e giornalista israelo-americano Yossi Klein Halevi, residente a New York.
La coalizione di destra – A fianco di “Bibi”, esponenti dell’ala più conservatrice della società israeliana. Da un lato, l’estrema destra di Sionismo Religioso, costellata di figure oltranziste provenienti anche dalla fusione con Potere Ebraico di Itamar Ben Gvir, considerato un terrorista negli Stati Uniti e già condannato più volte. Dall’altro, i partiti che rappresentano la comunità ultraortodossa degli Haredi, Shas per i sefarditi ed Ebraismo della Torah Unito per gli ashkenaziti. Con l’attuale formazione, Likud sarebbe l’unico partito laico della maggioranza in parlamento. Da questo punto di vista, il centrista Unità Nazionale di Benny Gantz, quarto partito con 12 seggi, pur non facente parte della coalizione, potrebbe rappresentare per Netanyahu un valido contrappeso alle frange più estremiste della nuova maggioranza.
Affluenza record – Le elezioni parlamentari, che in Israele si dovrebbero tenere ogni 5 anni, negli ultimi 4 anni si sono tenute 5 volte. Le numerose tornate elettorali non hanno allontanato i cittadini israeliani dai seggi, dove si è registrata un’affluenza superiore al 70%, il valore più alto degli ultimi 23 anni. Il dato è stato subito appuntato dagli Stati Uniti che, pur cauti nell’esprimersi in merito al risultato delle elezioni, non hanno tardato a congratularsi per la considerevole affluenza.
Una sinistra frammentata – Il voto nei collegi abitati da arabi ha risentito della decisione delle quattro formazioni arabe di presentarsi divise, che ne ha anche determinato la perdita di seggi. Meretz, storico partito di sinistra, ha rischiato di non superare la soglia di sbarramento del 3,25%, necessaria per ottenere rappresentanza alla Knesset, salvo poi recuperare. I partiti arabi Ra’am e Hadash-Ta’al l’hanno di poco varcata ma, secondo quanto affermato dal Jerusalem Post, il capo di Hadash e dell’alleanza dei partiti arabi, Ayman Odeh, sarebbe a rischio deportazione. Vede un’esigua presenza in parlamento anche quello che per molto tempo fu il primo schieramento del Paese, il Partito Laburista.