Col 97% dei voti scrutinati Israele, alla sua quarta consultazione elettorale in due anni, non sa ancora chi la governerà. Il Likud del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu ottiene 30 seggi, staccando il leader dell’opposizione Yair Lapid, fermo a 17-18. Ma nella Knesset, il parlamento israeliano, di seggi per formare il governo ne servono 61, la maggioranza assoluta. E ora sono in molti a indicare la possibilità che Nethanyau per governare potrebbe aver bisogno dell’aiuto di Ra’am, il partito islamista che ha conquistato quattro seggi.

Partito della discordia – Ra’am, la Lista araba unita, è il partito arabo di Mansour Abbas. Fino al gennaio di quest’anno era inserito nel cartello elettorale della Joint List che riunisce dal 2015 i principali movimenti islamici israeliani. Fino alla tarda serata del 23 non era chiaro se Ra’am avesse superato o meno la soglia di sbarramento del 3,25% necessaria a sedere nella Knesset. Poi, un po’ a sorpresa, era arrivato addirittura ad ottenere cinque seggi – ridotti a quattro con gli ultimi conteggi. Il partito, molto popolare tra la popolazione beduina, ha posizioni antisioniste ed è a favore della creazione di due stati per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano.

Le coalizioni – Ra’am oggi è così importante perché nessuna delle due ipotetiche coalizioni, secondo il Jerusalem Post, può governare senza il suo appoggio. L’alleanza parlamentare di Netanyahu arriverebbe infatti a 59 voti, quella di Lapid capeggiata dal partito Yesh Atid, appena 57. Nel secondo caso Abbas avrebbe addirittura la possibilità, scrive sempre il giornale israeliano, di chiedere un ministero in cambio del proprio supporto – sarebbe il primo eletto da un partito arabo.

La destra contro – La coalizione di Netanyahu è un campo molto ostile per Ra’am. Accanto alla destra conservatrice del Likud ci sono formazioni più marcatamente antiarabe come il Partito religioso sionista, il cui leader Bezalel Smotrich ha dichiarato, rivolto implicitamente ad Abbas, che «gli sponsor del terrorismo che negano l’esistenza dello Stato di Israele come stato ebraico non sono partner legittimi di nessun governo». Gli altri alleati dell’ex primo ministro sono due partiti ortodossi ebraici, Shas e United Torah Judaism e il partito di centrodestra Yamina, che potrebbero essere più inclini al compromesso.

Sinistra frammentata – Se Abbas scegliesse di guardare a sinistra però, la maggioranza di un solo seggio con una coalizione che include ben 7 partiti diversi (e spesso ai ferri corti tra di loro) rischierebbe di dare vita ad un governo troppo instabile. Un rischio ben presente a Netanyahu, per cui l’unica alternativa al suo governo sono «nuove elezioni».

I double ballots – Per il momento si attende l’ultima tornata di 450.000 voti, che saranno conteggiati entro la sera del 25 marzo. Sono i cosiddetti double ballots, voti speciali di chi non si è potuto recare nei seggi normali: ospedali, forze armate impegnate in missione, prigionieri, case di cura. Le nuove schede da sole valgono 11 seggi, quindi possono alterare in un senso o nell’altro il risultato elettorale.

Possibili compromessi – Salvo sorprese, se il Likud intende governare serviranno elaborate acrobazie politiche da parte del suo leader, che deve costringere allo stesso tavolo anime molto diverse. Il Jerusalem Post suggerisce che una delle soluzioni che possano mettere d’accordo tutti è quella di un governo di minoranza della coalizione di destra con appoggio esterno di Ra’am. I partiti religiosi potrebbero così “salvare la faccia” col proprio elettorato, mentre Abbas potrebbe fare pressioni su Netanyahu per la salvaguardia dei diritti degli arabi, ben consapevole che il governo si regge sull’appoggio del suo partito.