La Casa Bianca lo ha già definito «il piano del Secolo» ma la comunità internazionale smorza gli entusiasmi e il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, ha subito respinto la proposta: «I nostri diritti non si barattano». Il nuovo piano di pace per il Medio Oriente è stato presentato martedì 28 gennaio dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, anche se il vero regista dell’operazione è il genero, marito della figlia Ivanka, Jared Kushner, tant’è che in molti lo hanno già ribattezzato “piano Jared”. Il piano, prima di essere reso pubblico, era stato presentato in via riservata lunedì al premier israeliano Benjamin Netanyahu e al rivale politico Benny Gantz (leader del partito Blu e Bianco). Ma dagli alleati americani nel mondo arabo – Egitto e Paesi del Golfo – le reazioni sono blande mentre l’Europa (e l’Italia) restano alla finestra: a Bruxelles e a Roma nessuno commenta perché si sta cercando di capire se il piano non sia solo un volano in vista delle elezioni in Israele e negli Stati Uniti o se resisterà anche dopo. Alcuni osservatori fanno anche notare che sia Trump che Netanyahu sono oggetto di questioni giudiziarie nei rispettivi paesi – il primo l’impeachment per abuso di potere e ostacolo alla giustizia, il secondo un processo per truffa e corruzione – e quindi starebbero usando il piano in Medio oriente per distrarre le opinioni pubbliche dei propri Paesi. Sabato intanto al Cairo si terrà la riunione straordinaria della Lega Araba e per venerdì sono attese le proteste del popolo palestinese. Nettamente contari l’Iran («Il piano non si realizzerà, il mondo islamico non lo permetterà», ha detto la guida spirituale Ali Khamenei) e la Turchia.

La nuova mappa del piano di pace in Medio-Oriente

Cosa prevede il piano – Trump propone una soluzione a due Stati ma le concessioni nei confronti degli alleati israeliani sono molto marcate: sarà riconosciuta la sovranità israeliana sulla valle del Giordano, il pieno controllo di Gerusalemme, compresa la zona del Muro del Pianto e della Spianata delle Moschee. Ai palestinesi, invece, resterebbero alcuni quartieri della zona Est dove insediare la propria capitale. In sintesi, la Città Vecchia rimane nel controllo di Israele mentre i luoghi sacri musulmani continuerebbero a essere gestiti da giordani e palestinesi. Sul fronte delle colonie invece il piano prevede che gli israeliani continuino a mantenerne la maggior parte e questa sovranità sarà estesa anche alla valle del Giordano: in cambio Israele si impegna a non espandere o costruire nuovi insediamenti per 4 anni. I palestinesi, secondo Donald Trump, «avranno il doppio del territorio»: alcune aree in Israele nel deserto a sud verso Gaza verrebbero trasferite agli arabi «per la costruzione immediata di infrastrutture che affrontino la crisi umanitaria nella Striscia». Quest’ipotesi, si legge nel piano, è ancora da «concordare».

Lo Stato Palestinese – Se il “piano Jared” prevede la nascita dello Stato di Palestina, questo potrà avvenire solo tra quattro anni. I leader palestinesi infatti dovranno rispettare alcune condizioni precise: fermare i pagamenti ai famigliari di chi commette attentati e Hamas e la Jihad islamica dovranno deporre le armi. A quel punto la Striscia di Gaza verrebbe collegata alla Cisgiordania con un treno ad alta velocità che attraverserebbe Israele. Inoltre la Palestina «deve restare totalmente demilitarizzata».

Il presidente Usa Donald Trump nei giardini della Casa Bianca (EPA)

La questione economica – Il presidente Trump è convinto che per dirimere la controversia israelo-palestinese sia determinante il fattore economico. Il piano punta a consentire «al popolo palestinese di costruire una società prospera e vibrante». Tradotto: 50 miliardi di dollari in nuovi investimenti da realizzarsi in 10 anni, impiegati in infrastrutture, sanità e istruzione sia in Cisgiordania che a Gaza. I soldi saranno raccolti «attraverso uno sforzo internazionale» e inserito «in un nuovo fondo amministrato da una banca multilaterale di sviluppo». L’accordo prevede anche che il futuro Stato di Palestina sia dotato di istituzioni finanziarie indipendenti, in grado di sostenere linee di credito e di impegnarsi in operazioni di mercato internazionale allo stesso livello dei sistemi occidentali.