Emmanuel Macron ha vinto la sua scommessa: presidente della Repubblica, sei mesi dopo la sua candidatura e senza un vero partito alle spalle. Il leader del movimento centrista En Marche! sconfigge Marine Le Pen al ballottaggio con il 61,3% delle preferenze. Archiviata la pratica dell’Eliseo, ora sono da definire le alleanze politiche in vista delle legislative. «Per Macron il voto di giugno è la vera sfida». A parlare è Johan Hufnagel, vicedirettore di Libération. Nel voto dell’11 e del 18 giugno, che deciderà la formazione del Parlamento, il neopresidente rischia di ritrovarsi senza maggioranza. Con la scomparsa dei socialisti, gli equilibri sono ancora tutti da verificare. La nuova tornata elettorale, che ha un’importanza non inferiore a quella dell’elezione del presidente, deciderà la libertà politica con cui Macron potrà governare nei prossimi cinque anni.

Eletto presidente francese, Emmanuel Macron è arrivato sulla piazza del Louvre, nel cuore di Parigi. Ad accoglierlo le note dell’Inno alla gioia, la nona di Beethoven che è anche l’inno europeo. Quali sono stati i punti di forza del suo discorso?
Macron ha utilizzato parole che possono adattarsi a ogni situazione. Termini molto generali, come ha fatto durante la campagna elettorale, e ai quali gli elettori francesi sono abituati. L’uso dell’Europa e di tutte le immagini che sono legate all’Unione, come l’Inno alla gioia. In Francia era da molto tempo che un uomo politico non assumeva un legame identitario con l’Europa così forte. Per il resto, sono concetti tradizionali per un presidente francese: protezione, nazione, il riferimento alla totalità dei francesi, anche a chi non ha votato per lui. Era chiara la volontà di Emmanuel Macron di apparire da subito come il presidente, cosa che invece non era riuscito a fare François Hollande nelle prime ore della sua carica. Macron è apparso da subito forte, deciso. Ha mostrato quello che i francesi si sarebbero aspettati da lui.

I socialisti sono tra gli sconfitti delle presidenziali. Che rapporto avranno con La République en marche?
Le elezioni hanno mostrato che i partiti tradizionali erano in crisi e che sarebbe stato necessario un loro rinnovamento. Quanto è stato deciso al loro interno – nei partiti legati a François Mitterand negli anni Ottanta o i Repubblicani, partito nato dall’unione di due formazioni politiche di destra – è imploso. Allo stesso tempo c’è stata una ricomposizione delle forze imposta da Macron, autore di una strategia di attacco al centro in parte richiesta dagli stessi francesi. E di cui Macron ha beneficiato, visto che i partiti tradizionali non sono riusciti ad arrivare al secondo turno. Nelle prossime settimane si assisterà a una riconfigurazione della politica francese. Bisogna prestare attenzione alle legislative e ai candidati proposti da En Marche. Da Macron ci si aspetta una larga maggioranza, che si potrebbe comporre attraverso i partiti tradizionali, che siano i socialisti del centro o i repubblicani moderati. Ma, nonostante questo, penso sia ancora presto per parlare di una profonda ristrutturazione della politica francese.

E il Front National? Quali scenari potrebbero aprirsi per Marine Le Pen?
Bisogna dire che rispetto alle presidenziali del 2007, il FN è andato avanti. Un progresso inedito in Francia. Si è consolidato e potrebbe continuare a farlo. Anche nell’Assemblea Nazionale (la Camera, ndr) dove, se siamo ottimisti, potrà riuscire ad ottenere quindici candidati. Fino a sessanta, se siamo pessimisti. Potrà continuare ad avere un peso sull’opinione pubblica. C’è un ulteriore problema. È da molto tempo che Marine Le Pen punta sulla sua capacità di arrivare da sola alla maggioranza. Questo ha caratterizzato ogni momento della campagna elettorale e del suo programma, populista, nazionalista e in grado di prendere voti a destra e a sinistra. Non c’è riuscita ma il suo ruolo è stato legittimato. Tuttavia c’è chi ritiene che abbia perso un’occasione. Che effettivamente di fronte alla configurazione generale della Francia post-attentati – una situazione economica difficile, la disoccupazione, una ripresa debole, l’allerta terrorismo e la crisi dei rifugiati – poteva ottenere un risultato migliore. Il 21% del primo turno fa si che nel suo partito ci sia chi vuole rimettere in gioco il Front National e la sua forza. Secondo le informazioni di cui dispongono gli specialisti del partito, c’è una voglia di regolare i conti. Nei prossimi anni, è possibile che il FN cambi di nuovo forma e struttura. E che in questo modo rafforzi la base di consenso.

Prima del secondo turno, Libération aveva lanciato un appello a votare per En Marche! In prima pagina, il 6 maggio era pubblicato un appello: «Faites ce que vous vuolez mais votez Macron»
Per Libération era necessario votare Macron domenica. Per fermare il FN doveva essere fatto il possibile. Tutto quello che poteva evidentemente fare perdere il partito al secondo turno e fargli anche ottenere meno del 20%. Secondo noi, la sua debolezza è la cosa migliore per la politica francese.