Venti giorni fa, anche per un giornale di lingua spagnola, sarebbe stato difficile dire chi fosse Juan Gerardo Guaidó Márquez. Oggi, che l’ex sconosciuto si è proclamato rivale istituzionale del presidente «usurpatore» Nicolás Maduro.

Studente antichavista – Nato nel 1983, è originario di La Guaira, città costiera capitale dello stato di Vargas non lontana da Caracas. Studia da ingegnere industriale nella capitale all’Universidad Católica Andrés Bello e successivamente si specializza in studi sulla pubblica amministrazione, tra Caracas e la George Washington University negli Stati Uniti. È sposato con Fabiana Rosales, che si occupa di comunicazione sociale, e insieme hanno una figlia, Miranda. Durante gli studi si avvicina alla politica e nel 2007 inizia a militare nelle fila dell’antichavismo, gli oppositori del defunto presidente Hugo Chavez. Diventa uno dei dirigenti del movimento studentesco venezuelano e due anni dopo contribuisce a fondare il partito di centro progressista Voluntad Popular (VP). Si tratta di un’esperienza cruciale in politica, perché Guaidó raccoglierà il testimone a capo del partito quando il leader Leopoldo López sarà arrestato dalla polizia chavista nel 2014.

Sciopero della fame – Nel 2010 è eletto deputato supplente. Nel 2015 ha partecipato a uno sciopero della fame per ottenere la celebrazione delle elezioni per l’Assemblea Nazionale, dove viene riconfermato. Nel 2016 inizia il suo mandato da deputato regolare, quando per la prima volta i partiti antichavisti ottengono la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale del Venezuela alle elezioni legislative del 2015, riuniti nella coalizione Mesa de la Unidad Democrática (MUD). La Mesa, che non riconosce la legittimità del governo Maduro, non riesce a organizzare efficacemente la sua opposizione nonostante disponga di 90 seggi: i partiti litigano fra loro e impiegano tre anni per distribuire le cariche più importanti, mentre il Paese è al collasso. A gennaio del 2018 Voluntad Popular ottiene a rotazione la presidenza della maggioranza all’Assemblea Nazionale e Guaidó diventa così il leader della Mesa.

Venti giorni decisivi – Fino a questo punto l’uomo è ancora fuori dai radar delle cronache internazionali, ma le cose cambiano rapidamente dalla fine di dicembre dell’anno scorso. La rotazione delle cariche fra i partiti lo porta a essere nominato presidente dell’Assemblea Nazionale con mandato dal 5 gennaio 2019 al 5 gennaio 2020. Cambia tutto negli ultimi venti giorni. L’11 gennaio convoca un cabildo abierto a Caracas, una forma di consultazione popolare cittadina tipica delle ex colonie ispanoamericane, e per la prima volta parla della necessità di ripristinare l’ordine costituzionale e democratico appellandosi all’articolo 233 della Costituzione Nazionale. Inoltre invita le forze armate a unirsi alle iniziative contro Maduro, in linea con la strategia dell’opposizione antichavista che chiede da tempo ai militari di «tornare a difendere la volontà popolare e l’integrità del Paese». Nel successivo cabildo del 13 gennaio a La Guaira viene arrestato per alcune ore da agenti del Sebin (i servizi segreti venezuelani) che hanno agito in autonomia dalle indicazioni del governo.

Futuro incerto – Guaidó non ne esce intimidito, e dieci giorni dopo compie il grande passo in una data chiave della storia del suo Paese: il 23 gennaio ricorre l’anniversario della caduta del dittatore Marcos Pérez Jiménez, deposto nel 1958. Il Venezuela è allo stremo e Maduro non è affatto disposto a cedere alle pressioni internazionali o a quelle dell’Assemblea, perciò non è chiaro come andrà a finire. Ma se Guaidó non dovesse essere incarcerato, potrebbe portare lo scontro a un nuovo livello, come dimostra l’appoggio internazionale che immediatamente ha ottenuto da numerosi Paesi.