Le tensioni delle ultime settimane di febbraio tra India e Pakistan hanno radici profonde. I due Stati sono in conflitto dal 1947, quando l’indipendenza e la rottura di quella che era stata la colonia dell’India britannica non riuscì a garantire una perfetta divisione su basi religiose. Ci furono scontri e attacchi da parte di fanatici sia indù sia islamici, migrazioni delle minoranze verso entrambi i Paesi e nacque il problema del Kashmir. Questa regione nel nord del subcontinente fu lasciata fuori dagli accordi per la separazione e da allora ogni Stato ne occupa una parte, reclamando l’intera zona. È l’unica area al mondo dove c’è un confronto militare diretto tra potenze nucleari: il primo test atomico indiano, detto “Buddha sorridente”, è del 1974, mentre il primo pakistano del 1998. Entrambi i Paesi si stima possiedano tra le 100 e le 200 testate e non hanno aderito al trattato di non proliferazione nucleare.

Divisione della colonia – Nel 1947 il Regno Unito concesse l’indipendenza a India e Pakistan. Era la conclusione di un processo durato decenni di crescente opposizione alla dominazione inglese, il cui protagonista principale fu il Mahatma Ghandi e la sua lotta non-violenta. Durante questo processo si era affermato il principio che gli abitanti del subcontinente indiano erano da dividere in diversi popoli, e quindi Stati, su basi religiose. Venivano abbandonate le idee sia di un unico Stato multi-religioso, come avrebbe voluto Ghandi, sia di tanti piccoli Stati su basi etniche e linguistiche. Principale sostenitore di questo principio era Mohammad Ali Jinnah, leader della Lega musulmana panindiana, che temeva il destino degli islamici in un’unica India a netta maggioranza induista. La sua ferma linea secessionista aumentò le tensioni tra musulmani e indù in tutta la colonia e convinse il Congresso nazionale indiano, il movimento per l’indipendenza il cui capo politico era Jawaharlal Nehru, ad appoggiare la sua proposta per evitare la guerra civile. L’ex colonia venne quindi divisa secondo il piano di Lord Mountbatten, ultimo viceré inglese, con l’indipendenza in un unico Stato degli attuali Pakistan e Bangladesh (detto all’epoca Pakistan orientale) a maggioranza musulmana e dell’India a maggioranza indù. Un confine netto tra le due comunità però non esisteva e all’indipendenza seguì l’esodo delle minoranze religiose da una parte e dall’altra, per un totale di 11 milioni di persone che dovettero abbandonare le loro case a seguito delle violenze da parte degli estremisti. Lo stesso Ghandi fu ucciso da un fanatico induista per i suoi tentativi di riportare la pace. A oggi il Pakistan è quasi completamente abitato da soli islamici, mentre l’India mantiene una forte comunità musulmana, il 14% della popolazione, concentrata nel Kashmir e ai confini col Bangladesh.

Il primo conflitto – Il Kashmir all’inizio non fu compreso in nessuno dei due Stati. Pur a netta maggioranza musulmana, il suo maharaja, cioè un principe locale dotato all’epoca inglese di grande autonomia interna, Hari Singh era induista. Singh fu l’unico nel 1947 a scegliere l’indipendenza anziché l’unione a uno dei due Stati, ma fu sottoposto a crescenti pressioni. Dopo pochi mesi i sudditi musulmani delle province settentrionali si ribellarono, chiedendo l’annessione al Pakistan. Il maharaja allora chiese aiuto all’India, accettando di unirsi allo Stato indù, che quindi mandò le proprie truppe nelle zone meridionali ancora controllate dal principe. Islamabad rispose inviando proprie truppe nelle zone a nord. Fu la prima guerra indo-pakistana, o prima guerra del Kashmir, che finì senza un vero vincitore e portò alla divisione dell’area in due zone controllate dalle rispettive potenze, divisione che è mantenuta ancora oggi nonostante altri scontri militari tra i due contendenti.

70 anni di guerra – Nel 1965 il Pakistan provò a infiltrare forze speciali nella zona del Kashmir a controllo indiano per sostenere i ribelli musulmani nella regione. L’India rispose con un attacco su larga scala su tutto il confine, tanto che ci furono perfino scontri navali nel Mar arabico. La seconda guerra del Kashmir durò soltanto 17 giorni, prima che Usa e Urss imponessero un cessate il fuoco tramite l’Onu che portò solo a limitate modifiche nella linea d’armistizio del 1948, rivendicate come vittoria da entrambi i contendenti. Un ulteriore tentativo pakistano del 1999, noto come guerra del Kargil, fu duramente respinto dall’India con gravi perdite per gli invasori. È uno dei conflitti combattuti più ad alta quota di sempre, con scontri tra i due eserciti sopra i 5000 metri. Oltre ai tre principali conflitti, a cui va aggiunto quello del 1971 che portò all’indipendenza del Bangladesh sostenuto dall’India e non coinvolse il Kashmir, ci sono stati molti altri incidenti, schermaglie e ribellioni sostenute dall’avversario.
Il confine tra i due Stati nel Kashmir è simile a quello tra le due Coree: entrambi rivendicano come propria l’intera regione e la linea tra i due Paesi è un confine non ufficiale che segue la linea dell’armistizio. L’India ha fortificato pesantemente il proprio lato, per difendersi da nuovi attacchi pakistani e impedire grazie a un muro di oltre 500 chilometri infiltrazioni di guerriglieri musulmani.