Una sola ricorrenza ma due date differenti per due mondi differenti. La giornata della Vittoria, la resa dei nazisti alla fine della Seconda guerra mondiale, fin dal 1945 si celebra l’8 maggio in Europa occidentale e il 9 maggio in Russia e in altri Paesi dell’ex Unione Sovietica. L’Ucraina quest’anno ha cambiato la tradizione e ha «tradito i suoi padri», cosi sostiene il Cremlino, anticipando di un giorno le celebrazioni per la sconfitta di Hitler. Con l’avvento di Vladimir Putin il ricordo della “Grande guerra patriottica” ha assunto un’importanza ancora più marcata, con gigantesche e solenni parate militari, un modo per rilanciare la presenza della Russia nel mondo e riaffermare il suo ruolo di grande potenza.
Dopo l’episodio del drone sul Cremlino la parata del 9 maggio è però stata cancellata già in 21 città russe. Secondo fonti americane, Mosca teme che le celebrazioni possano diventare una potenziale fonte di protesta interna, a causa dell’elevato numero di vittime russe in Ucraina. Anticipare questa festa, per gli ucraini, significa prendere le distanze dalla Russia, non identificarsi più nei suoi valori, nei suoi usi e nei suoi costumi. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dichiara simbolicamente la sua appartenenza all’Occidente e per questo gesto provocatorio è stato definito dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova un «traditore» e la «nuova incarnazione di Giuda nel 21/o secolo».  Zelensky, scrive Zakharova su Telegram, è «un collaborazionista fascista che ha tradito i suoi padri: coloro che hanno combattuto nelle file dell’Armata Rossa, che hanno sofferto e sono stati torturati nei campi di concentramento, che hanno lavorato per la vittoria nella retrovie».