“Abbiamo deciso di creare una nuova bandiera che rappresentasse al meglio il nostro confine”. Con queste parole, riportate dal quotidiano “Zaman”, il governatore di Suruç Abdullah Çiftçi ha giustificato la mossa di issare una nuova bandiera turca di otto metri per dodici su un palo alto 40 metri al valico di frontiera di Mursitpinar, proprio di fronte a Kobane. All’indomani della liberazione della “città-martire” da parte delle forze curdo-siriane dell’Ypg e dell’Ypj, il valico resta ancora chiuso. Fino a martedì i militari di stanza sul confine hanno continuato a usare lacrimogeni e cannoni ad acqua per impedire a migliaia di curdi di raggiungere la città dal territorio turco.
Kobane come Stalingrado. Dopo quattro mesi di assedio da parte delle truppe dell’Isis, di combattimenti casa per casa e di bombardamenti, nella città divenuta il simbolo della resistenza dei peshmerga curdi restano solo le macerie. La bandiera curda campeggia su ogni edificio, a ribadire la prima vera sconfitta dello Stato Islamico dall’inizio della sua avanzata.
Avanzata che non sembra fermarsi sul fronte delle decapitazioni: il gruppo Ansar Beit Al Maqdis, da poco ribattezzato “Stato del Sinai”, ha rivendicato l’uccisione di tre uomini, ritrovati giovedì mattina vicino a Sheikh Zuweid. Si tratta di beduini accusati di collaborare con Israele. Salgono così a 19 le vittime di Ansar, che sta così consolidando la sua alleanza con l’Isis.
Nuovi sviluppi, intanto, anche per gli ostaggi: le autorità giordane hanno tempo fino alla sera di giovedì per liberare la terrorista Sajida al Rishawi e salvare così la vita al pilota Muath al Kaseasbeh. L’ultimatum è stato lanciato con un messaggio audio direttamente da Kenji Goto, il reporter giapponese nelle mani degli jihadisti. “Per la sua liberazione, il governo sta agendo di comune accordo con Amman – ha affermato il portavoce del primo ministro Shinzo Abe – e confida in un’evoluzione positiva della vicenda”.
Emiliano Mariotti