Elon Musk, CEO di Tesla (Photo: James Duncan Davidson)

Niente più auto elettriche americane. La Cina mette al bando Tesla: funzionari pubblici, miliari e dipendenti di aziende di Stato non potranno più acquistare o usare i famosi modelli a basse emissioni. Secondo le autorità cinesi, grazie alle tecnologie avanzate con cui gli ultimi veicoli sono progettati e costruiti, verrebbero raccolti dati sensibili che potrebbero finire nelle mani di Washington. Una decisione che è stata resa nota dopo il primo fallimento del vertice di Anchorage, in Alaska, dove le due superpotenze hanno provato a ricostruire il dialogo dopo anni di guerre commerciali.

 

Tesla smentisce: “Accuse infondate” – La reazione del CEO di Tesla Elon Musk non si è fatta attendere. Intervenendo in streaming al China Development Forum, il fondatore ha contestato la decisione del Governo cinese e respinto le accuse: «Se Tesla utilizzasse le sue auto per fare spionaggio in un Paese, verrebbe vietata anche in altri e questo è un forte incentivo per garantire la confidenzialità dei dati». La misura presa da Pechino è un grave colpo per l’azienda statunitense, tra i leader del settore automobilistico: il Paese asiatico è infatti il secondo mercato più importante per Tesla che l’anno scorso ha consegnato circa 500 mila veicoli, di cui 139 mila “Model 3” solo in Cina. Inoltre la casa automobilistica californiana è stata la prima ad ottenere dalle autorità asiatiche il permesso di costruire fabbriche senza necessità di avere un socio locale. La misura restrittiva appare come una perdita di fiducia.

Il vertice di Anchorage – Il “caso Tesla” arriva dopo il vertice Usa-Cina tenutosi quattro giorni fa in Alaska, nella città di Anchorage. Primo incontro della presidenza di Joe Biden, organizzato con l’intenzione di portare una distensione nei rapporti tra le due super potenze, si è chiuso con dichiarazioni poco diplomatiche e pesanti accuse. A guidare la delegazione statunitense è stato il segretario di Stato Antony Blinken che ha parlato delle azioni repressive intraprese dall’avversario commerciale ad Hong Kong e Taiwan, della questione degli uiguri dello Xinjiang, delle pressioni economiche contro l’Australia e dei cyber-attacchi contro bersagli americani. Tutto questo è stato definito dal segretario di Stato americano come «un attacco contro l’ordine e la legalità che garantiscono la stabilità globale». Durissima la replica del responsabile Esteri del partito comunista e capo della delegazione cinese Yang Yechi: «Smettetela di promuovere la vostra versione di democrazia nel resto del mondo. Perfino all’interno degli Stati Uniti molti hanno smesso di avere fiducia in quella democrazia. La Cina non accetta accuse, non è possibile strangolarci, avete precipitato le relazioni bilaterali in una crisi senza precedenti».

Da Huawei a TikTok, le vittime della guerra commerciale – Accuse simili a quelle mosse contro Tesla erano già state lanciate qualche tempo fa dagli Stati Uniti nei confronti dei colossi cinesi. Durante la presidenza di Donald Trump, la Casa Bianca aveva condotto una campagna contro Huawei per l’installazione della tecnologia 5G in Europa diffondendo il timore che attraverso di esse Pechino avrebbe potuto avere accesso a tutta una serie di informazioni utili per lo spionaggio commerciale o politico-militare. Anche Google aveva boicottato la rivale cinese, impedendo gli aggiornamenti del sistema operativo Android sugli smartphone asiatici.
Vittima della guerra commerciale è stato anche il social TikTok, applicazione da oltre 2 miliardi di download, che Trump aveva minacciato di “bannare“. Le proteste seguite all’annuncio avevano costretto a fare marcia indietro all’amministrazione che sempre di “fuga di dati” parlava per giustificare l’eventuale blocco.